41. Dark and Shadow

Il salto dimensionale li portò con precisione dove Turgul aveva deciso, i loro corpi si materializzarono in mezzo a tanti piccoli fulmini nel mezzo del balcone sud della torre, dove una volta atterravano e partivano i Cavalieri del Drago. Il pavimento lastricato era coperto da uno strato di ghiaccio spesso che traboccava oltre il bordo, rendendo la superfice insidiosa. Lo stregone si guardò intorno e, con un sorriso soddisfatto, si rivolse verso Agladur che era alla sua sinistra: «A destinazione come promesso! Ora facci strada tra le stanze.»

L’elfo si incamminò guardingo ripercorrendo la strada che aveva visto nei ricordi di Maal Hagen, con la mente confrontava velocemente i luoghi visti con il posto in cui erano e decise di avviarsi per lo stesso cammino, nella speranza di giungere silenziosamente nelle stanze del necromante.

Tutti lo seguirono a passo lento sguainando le armi e imbracciando gli scudi.  Turgul e Maeva chiudevano la fila e in quel momento il mezzelfo decise di provare a mandare un messaggio al compagno lontano:

«Maegras, non so se puoi sentirci ma noi siamo arrivati…» si sforzò di entrare in contatto col compagno, intensificando la sua ricezione nella speranza che qualcosa giungesse da lui ma non sentì nessuna parola, avverti però altro proprio dietro di sé. Si girò di scatto verso la paladina:

«Maeva… ma… lui lo sa?»

La donna vide lo sguardo del compagno e un’espressione colpevole e sconvolta comparve sul suo volto, scosse la testa incredula poi balbettò:

«Come hai… no, non lo sa e non devi dirglielo»

«Ma…»

«Giuralo!»

«Arrivano!»

Il loro discorso venne interrotto dalla prima ondata di non-morti che il necromante gli scagliò contro. Scendevano a decine dalle scale e si riversarono sulla prima sala che era quasi interamente al buio. Lo stregone prese da terra un frammento di ghiaccio, lo illuminò con la magia e lo lanciò facendolo scivolare sul pavimento fino all’interno. Agladur non era riuscito neanche a mettere un piede su un gradino che fu travolto. I primi vennero spinti di lato da Òron che era al suo fianco, ma il numero con cui arrivarono era imponente e spinsero a terra anche lui, i cadaveri proseguirono con la carica con le loro armi arrugginite arrivando a scontrarsi con i guerrieri nordici più indietro. La spinta li portò verso le scale a destra che andavano verso il basso. Hallr, Halvard e Eivind vennero fatti rotolare giù per le scale. Il paladino invece era riuscito a indietreggiare velocemente, si vide passare davanti i nemici così colse la possibilità di prendere più bersagli possibile. Invertì la normale impugnatura della spada che reggeva con la destra, invocò il potere del suo Dio sussurrando «Punisci il male!» e, non appena la spada fu illuminata, la fece ruotare di lato falciando cinque cadaveri che tagliò di netto in due. I corpi divisi caddero a terra e poi diventarono polvere e ghiaccio, disintegrati dal potere sacro inferto dal colpo. Aperto il varco nelle fila del nemico, allungò la mano verso Òron e lo tirò su, il guerriero nordico saltò in piedi e si scambiò di posto col mezzelfo mentre riprendeva la sua ammazzagiganti da terra e ne falciava altri cinque. La luce sulla spada di Kanalagon non si spense e il paladino andò in carica sulle scale mentre il guerriero nordico alzava il chierico e ripiegava sulle scale a sinistra per supportare i compagni in lotta con gli altri nemici. Corpi marcescenti venivano tagliati e recisi in continuazione ma il loro numero non sembrava diminuire mai. Turgul varcò l’entrata seguito dalla paladina proprio mentre a sinistra il protetto del Dio del fulmine era giunto a metà della scalinata, sommerso dai cadaveri che lo stavano schiacciando.

«Kano!»

«RAIDO!»

Un fulmine eruppe dalla sua spada trasportando con sé il potere divino del suo Dio. Il lampo diventò di un bianco brillante e intenso, si allungò su tutti i nemici davanti e superò il piano scomparendo oltre la vista. Tutti i non-morti vennero polverizzati e le loro armature vuote caddero a terra. Turgul fu sollevato di vedere il compagno in piedi e incolume mentre Agladur, che era rimasto in disparte, fece presente il suo disappunto: «Potevi tenere il tuo colpo migliore per il Līc…»

«Adesso riesco a lanciarlo più di una volta» rispose lui mentre si lanciò verso il piano superiore. Agladur, Maeva e Turgul vennero superati dai guerrieri nordici, che correndo, seguirono il mezzelfo. Mentre Hallr finiva di fracassare il cranio di un cadavere contro il muro chiese al sacerdote: «Sempre in alto, chierico?»

L’elfo lo seguì piccato, poi lo stregone che si girò verso la donna: «Tu chiudi la fila!»

Fecero tre piani così, tutte stanze circolari le cui finestre erano completamente ghiacciate, la mobilia fatta a pezzi, ossa ovunque, l’olezzo di morte e putrefazione era appena percepibile ma la decadenza del luogo era palpabile. Le loro avanzate ne aumentavano la distruzione ad ogni passaggio, i guerrieri falciavano, impalavano e riducevano a brandelli ogni nemico senza sosta. Nonostante il numero considerevole, i cadaveri sembravano non poter impensierire gli avventurieri, che erano galvanizzati dai risultati e dai continui attacchi soverchianti con cui spazzavano le fila dei morti ambulanti che avevano la sfortuna di pararsi davanti loro. Hallr e Harvard erano i più spavaldi e sicuri dei propri mezzi, tanto da urlare «Tutto qui, necromante?» più volte. Eivind si diede da fare ma era sempre in coda agli attacchi per finire quei pochi che riuscivano a passare. Gli unici che non parlavano mai erano Kanalagon e Òron. Erano sempre concentrati a dare il massimo e, nonostante ciò, erano gli unici due a non avere il fiato corto. Giunti alla quinta sala Kanalagon si fermò e rimase per ultimo sulle scale, guardò il chierico che fece un cenno di assenso, poi con la spada illuminata dal potere sacro, incise con quattro tagli netti un simbolo rudimentale che rappresentava un fulmine sul muro.

«Proteggi!»

Durante i mesi passati avevano alcune volte parlato riguardo ai loro simboli divini protettivi. Nessuno di loro aveva un simbolo sacro inciso sulla propria armatura, niente che potesse fungere da fulcro per amplificare e mantenere il potere che i loro Dei gli davano contro le creature risvegliate alla non-morte. Nessuno era in grado di incidere le armature di argento nanico di cui erano bardati. Pertanto, decisero di fare i simboli per proprio conto ma notarono che riuscivano a produrre il medesimo effetto anche incisioni mal fatte e rudimentali. Duravano un po’ di meno ma con il tipo di battaglia che si stavano preparando ad affrontare non aveva importanza, così si erano esercitati a produrre simboli sugli alberi e sulle rocce. Da qui venne l’idea di provare a fare simboli temporanei per proteggere le aree che avessero conquistato. Agladur gli aveva proposto di incidere simboli dalla quinta sala in su per assicurarsi la possibilità di fare una ritirata strategica se le cose si fossero messe male. E proprio da quel piano che venne la loro prima grande minaccia. Le ondate di non-morti erano cessate e dal piano superiore cominciò a scendere un enorme massa scura che annullava la luce sprigionata dalla lancia di Turgul. Le orecchie degli avventurieri cominciarono a fischiare e Agladur capì immediatamente il pericolo; quindi, comunicò telepaticamente con i compagni: «Ripiegate al piano inferiore! È un’ombra!». Con rapidità pensò poi di attingere al potere di una preghiera che aveva preparato prima della battaglia ma prima che poté richiamare le parole sacre vide i due Tuvan saltare sulla scalinata per attaccare l’ombra. Solo in quel momento ricordò che loro non erano connessi alla mente alveare e non avevano sentito l’avvertimento.

«No! Indietro!» urlò Kanalagon ma i due guerrieri erano già davanti al nemico calando fendenti in maniera feroce. Le loro spade cozzarono contro la pietra ghiacciata che era dietro l’ombra, la sua natura eterea e inconsistente impediva alle loro normali armi d’acciaio di poterla ferire.

«Non guardatela negli occhi!» ammonì il sacerdote mentre con forza spingeva lo stregone e la paladina giù al piano inferiore. L’ombra si estese ancora di più arrivando a coprire per intero le scale e poi cominciò a dividersi. Due parti si staccarono dal muro e si avvinghiarono pulsanti verso le braccia di Hallr che cominciò a sentirsi sollevare. L’uomo scalciò e imprecò fino a che non comparvero due fessure nell’oscurità che si aprirono. Gli occhi dell’ombra della morte si manifestarono davanti all’uomo, due ammalianti aperture che mostravano al suo interno uno sconfinato cielo notturno stellato e luminoso, la cui bellezza rapì Hallr che smise di divincolarsi. Vide in quei due spazi aprirsi intorno a sé tutto lo spazio pieno di stelle, l’immensità e la totalità del cosmo in un unico momento e visione. Il sacerdote strappò di mano la lancia luminescente a Turgul e la lanciò contro l’ombra. La punta d’argento nanico raggiunse la densa oscurità di cui era fatta e la tese come una vela dietro un forte colpo di vento poi si appuntò e si conficcò nello strato ghiacciato sopra il muro. L’ombra lasciò la presa dal braccio di Hallr che scivolò penzoloni verso il basso. Halvard, che era vicino al compagno, lo prese dalla cinta mentre Òron da dietro lo afferrò per le spalle e tirarono con tutta la forza riuscendo a portarlo via dalla presa del nemico. Agladur colse l’occasione e richiamò alla mente la preghiera che aveva preparato la mattina: 

«Columna sacra ignis!»

Indicò un cerchio a terra tracciandolo in aria con le dita e dal centro dell’ombra si formò un segno rosso da cui esplosero delle fiamme bianche che arrivarono fino al soffitto. L’ombra emise un urlo stridulo che costrinse tutti tapparsi le orecchie. Le fiamme terminarono in un lampo di luce improvviso ma nonostante la spettacolarità e la forza dell’incanto divino, l’ombra rimase lì. Le sue spire oscure si avvolsero contro la lancia, nel tentativo di liberarsi ma si ritrassero quasi subito. Sembrava che l’argento nanico le provocasse del dolore.

«Agladur, rilancia quelle fiamme!» urlò Kanalagon

«Non posso, ne avevo solo uno» ribatté sconfortato il sacerdote.

«Fiamme? Bastava chiedere, tutti giù!» disse Turgul sopraggiungendo dalle scale, poi lanciò una piccola borraccia in aria, in direzione dell’ombra. Mentre l’oggetto saliva roteando in aria, lo stregone attinse in profondità alla sua sorgente arcana, arrivando a manipolare le fiamme più profonde che aveva trovato, e che aveva visto lanciare da Tristan nel combattimento sotto la montagna.

« B a l l   T e i n e  H a d ! »

Una scheggia incandescente schizzò via dal suo dito e colpì la borraccia proprio mentre stava per impattare contro la sua lancia. La deflagrazione fu più grande di quello che si aspettò. Le fiamme furono estese che arrivarono a toccare parzialmente i suoi compagni. Lo spostamento d’aria fece andare a gambe all’aria tutti. Le pietre sulla parete delle scale vennero spaccate e spinte verso l’esterno. L’ombra della morte precipitò, insieme alla lancia, attraverso il grande varco che si aprì all’esterno. Un vento freddo inondò la grande sala che diventò buia. Non si alzarono tutti subito. Lo stesso Turgul era ruzzolato all’indietro giù per le scale, Maeva era riuscita a evitare che continuasse a scendere sbattendo contro tutti i gradini. Agladur era a faccia avanti poco più avanti. Eivind era finito contro il muro opposto. Òron in ginocchio si teneva la testa e Halvard era a terra sopra Hallr immobile. Kanalagon era carponi mentre scuoteva la testa per capire se potesse sentire ancora oppure no, cercò di rimettersi in piedi e alzandosi vide lo squarcio creato nelle mura, da cui riuscì a scorgere le luci delle fiaccole di Norgod proprio quando giunse nella sua mente le parole di Maegras:

«Kano che sta succedendo?»

«Maegras! Turgul ha fatto saltare in aria una sala, c’è un buco nelle mura…» rispose il paladino attraverso la mente alveare che ora si era ricongiunta con l’elfo.

«Turgul! Hai usato tutta la polvere nera al chiuso?!»

Si sentì in quell’istante l’incedere metallico di passi che arrivavano dalle scale in alto. Uno scheletro di imponenti dimensioni, completamente bardato e con un mantello sulle spalle scese verso di loro. Nella mano destra reggeva una spada delle dimensioni paragonabili all’ammazzagiganti di Òron, dall’altro un grande scudo torre di metallo scuro. Sulla testa cinque punte ossee erano disposte in cerchio come a formare una corona. Nella stanza buia le uniche fonti di luce erano l’aurora esterna e le scarlatte orbite oculari del suo cranio.

«Re Erik!» esclamò Òron alzandosi in piedi «siamo venuti a liberarla dalla sua maledizione!»

«Io invece sono venuto ad uccidervi tutti» disse la voce profonda che arrivava dai suoi denti serrati. Gli avventurieri riconobbero la voce che sorgeva dal non-morto: era quella del necromante.

«Hallr! Svegliati!» Halvard a terra scuoteva il compagno per le spalle che giaceva inerme a terra con l’espressione vuota. Vicino arrivò Agladur che lo guardò per qualche secondo poi scosse la testa comunicando al compagno la brutta notizia: «Mi dispiace…».

Eivind si alzò e rinfoderando l’arma si avvicinò verso il grande scheletro armato: «Necromante, se mi senti, vorrei parlarti. Sono Eivind degli Ostiak, figlio del Re del nord, sono venuto qui da te per trattare»

Gli avventurieri si guardarono interdetti, ignorando l’intento del giovane guerriero, poi guardarono Òron cercando di capire se lui ne fosse al corrente ma il Tuvan era stupito quanto loro e si girò verso il compagno: «Eivind, che stai facendo?».

«L’unica cosa sensata, Òron. Sono sicuro che il necromante non ce l’abbia con Norgod. La venuta degli stranieri mi è sempre sembrata strana. Esattamente quando è arrivata l’armata, sono sicuro che voglia qualcosa da loro, possiamo dargli quello che vuole e salvare il nostro popolo».

«Interessante, quindi non sapete cosa voglio da loro. Non ve l’hanno detto…» intervenne Nagaš, interessato dalla piega che stava prendendo il discorso.

«Vedi che avevo ragione? Prendili pure tutti, necromante, non interverremo. Ritira le tue truppe. Te li ho portati qui per lasciarli a te» aggiunse Eivind.

«Non hanno con loro ciò che cerco, la tua offerta non ha valore per me. Li ucciderò comunque».

«L’avranno lasciata nella Yurta all’entrata con il loro compagno morente, sicuramente. Lasciami tornare indietro e ti porterò ciò che chiedi» promise Eivind.

«Il mio drago d’ossa è già nella tua città. Tra poco mi porterà ciò che voglio, ti ringrazio comunque per avermi dato indicazioni più precise, ci metterò di meno» poi il non-morto alzò la spada per attaccare l’Ostiak. Il fendente fu parato da Halvard che si era alzato ed era andato a cercare vendetta per il proprio compagno caduto.

«Halvard, non colpire Re Erik! Dobbiamo liberarlo!» ordinò Òron senza distogliere lo sguardo arcigno che indirizzava ora verso Turgul e compagni.

«Voi mi avete mentito! Vi ho ospitato nella mia città e avete sfruttato la nostra protezione e ospitalità nonostante sapeste che cosa avrebbe fermato il mago oscuro…»

«Òron, è molto più complessa di così! Non dare retta a Nagaš. Sta tentando di metterci gli uni contro gli altri. Il nemico è lui, non noi» Turgul, risalito nella sala con una pietra illuminante, tentò di acquietare gli animi mentre intorno a lui si compattavano i compagni, con Kanalagon e Agladur a fargli da scudo e Maeva dietro di lui.

Intanto Re Erik continuava a calare vigorosi fendenti su Halvard che era in difficoltà, non potendo contrattaccare. A suo sostegno intervenne Eivind che urlò al compagno: «Alla malora i forestieri, alla malora Froga e Re Erik! Falli a pezzi Òron. E portiamo i corpi al necromante, possiamo ancora cercare di convincerlo, lo dobbiamo al nostro popolo. Dobbiamo combattere per i vivi, per noi. Il resto non conta nulla!»

Kanalagon sentì il nome della strega bianca e si ricordò dei discorsi che aveva fatto con il guerriero Tuvan durante l’addestramento così disse:

«Òron, mi ricordo che mi hai parlato di Froga durante i nostri allenamenti. E mi ricordo le sue parole che mi hai riportato. La strega ti disse che il necromante non tratta mai, non ha pietà dei vivi. Credi che dandoci a lui, si fermerà? Hai visto il drago d’ossa assaltare la città. Pensi che perderà l’occasione di rinvigorire le sue fila per quattro avventurieri?» le parole del paladino non riuscirono a fare breccia nel cuore del Tuvan che cercò di colpire il paladino con tre poderosi colpi, parati con maestria dal mezzelfo che aveva imparato molto nei tre mesi di addestramento.

«Òron, è stata Froga a portarci in salvo a Norgod. Non abbiamo chiesto niente e se lei l’ha fatto è perché sapeva che ti avremmo potuto aiutare. Se Nagaš ottenesse le sfere che abbiamo, quello che sta succedendo a Norgod, si verificherebbe in altri luoghi. Tutto quello per cui lei si è battuta sarebbe stato vano. Vuoi questo?» continuò il paladino mentre parava ogni colpo senza reagire.

Eivind combatteva contro il non-morto senza risparmiarsi e tentando di colpire le giunture non coperte dalla spessa armatura che vestiva. Mentre combatteva sentiva i discorsi degli avventurieri e si intromise nel discorso:

«Òron, smettila di farti raggirare dai discorsi fatti da quella vecchia megera di Froga. Quella donna non è mai stata una di noi. Lei era solo una fattucchiera da quattro soldi che adescava gli stupidi. Uccidili!»

Il Tuvan picchiava sempre più forte e Kanalagon cominciava ad accusare la veemenza dei colpi fino a quando Òron non fu colpito alle spalle dall’arma impugnata da Hallr. Il suo compagno era ora in piedi con gli occhi vuoti, e con espressione spenta e distratta lo aveva attaccato, avendolo più vicino. I colpi erano veloci e senza sosta, una pioggia di fendenti che ferirono più volte il Tuvan preso alla sprovvista. Sarebbe arrivato il colpo di grazia se Kanalagon non fosse intervenuto. Con un colpo dal basso riuscì a tagliare una gamba al non-morto appena rianimato e lo mandò a terra. Cadde anche Halvard vicino a lui ferito da un affondo del grande scheletro che tolto di mezzo uno dei suoi avversari, ebbe la meglio su Eivind, schiacciandolo contro il muro con il suo grande scudo torre, e lo afferrò per il collo. La stretta era così vigorosa che l’Ostiak lasciò la presa sull’arma e mise le mani sul braccio del Re non-morto per cercare di respirare. Lo scheletro lo espose all’esterno, attraverso il varco, intenzionato a gettarlo nel vuoto ma non ci riuscì perché Òron si gettò su di lui cercando di tirare il braccio dentro. Tirò il suo mantello rosso, poi si avvinghiò al collo e tentò di tirarlo dentro. Agladur si era gettato sul Tuvan ferito a terra mentre Kanalagon dava il colpo di grazia al deceduto Hallr.

«Ecco la fine delle trattative, mio caro vice-Re!» disse il necromante dal corpo del non-morto, poi aprì la mano lasciando andare l’uomo che si strinse attorno all’arto per non cadere. Re Erik poi prese con l’altra mano anche Òron da dietro il collo e se lo strappò di dosso come fosse un vecchio indumento ed espose anche lui nel vuoto, mentre sbatteva l’altro braccio sull’esterno della parete per staccare Eivind. L’uomo fu schiacciato due volte con forza contro la roccia prima di lasciare la presa e precipitare urlando. Poi lo scheletro usò la mano libera per aggrapparsi al bordo dell’apertura e si espose ancora di più verso fuori, bloccandosi. Òron era appeso come lo era stato il suo compagno Ostiak, non poteva ruotare la testa o guardare da nessuna parte. Era bloccato e fissava le orbite rosse del suo antico Re, sulla sua faccia brillavano le sfumature dell’aurora. Sarebbe infine giunta la sua ora, lo sentiva e per la prima volta nella sua vita, pianse. Lo fece per Froga, perché non l’aveva fatto, lo fece per Re Erik, che non era riuscito a liberare e lo fece per Norgod, perché ora sapeva che il suo popolo sarebbe stato sterminato. Aveva avuto ragione Froga e aveva ragione il paladino, il necromante non si sarebbe mai fermato in nessun caso, avrebbe distrutto tutto. Si rassegnò alla caduta e chiuse gli occhi ma la caduta non avvenne, rimase lì nel vuoto col vento che gli spostava il mantello. Vide Re Erik che veniva tirato dal mantello da Kanalagon, successivamente giunse la voce del necromante.

«Gettalo! Ti ho detto gettalo stupido cadavere. È un ordine!»

Ma il non-morto non apriva la sua mano, non rispose a nessun comando ordinato dal mago oscuro che lo aveva rianimato e che lo comandava come una marionetta. Òron cercò di arpionare le dita ossute che gli serravano il collo e cercò di aprirle, tirò su le gambe e si avviluppò all’arto. Riuscì a sfilare la testa ferendosi con le ossa affilate che lo bloccavano. Ma prima che riuscisse a pensare a come riuscire a rientrare nella torre, Nagaš ordinò a Re Erik di fare un passo nel vuoto.

«Un non-morto che non risponde ai miei ordini non mi serve a nulla»

Il non-morto cedette al comando e si sbilanciò, rimase appeso con l’altra mano ancora serrata sugli spuntoni di roccia dell’apertura penzolando nel vuoto e reggendo con l’altra mano il Tuvan per un braccio, sussurrò nella mente dell’uomo le sue ultime parole: «Prendilo, io rinuncio!» e caddero entrambi nell’oscurità sotto la torre.

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