26. Asps & Vipers

Maegras osservò attentamente il sacerdote che trascinava l’uomo a ridosso del crepaccio pensando ad un espediente estremo per un interrogatorio veloce, diretto e senza fronzoli. La paura della morte era una delle leve più valide per estorcere informazioni ma, invece di sporgere l’ormai debilitato corpo del nemico nel vuoto e porgere le domande, Agladur lo fece volare come uno straccio oltre il limite mostrando uno sguardo crudele e compiaciuto. «Agladur ma cosa hai fatto?» «Ho emesso sentenza e applicato la condanna. Cosa ti aspettavi? Volevi che lo invitassi con garbo all’interno di Kar ‘N Kar?» il chierico rispose con tono aspro e squillante, poi si diresse verso i due individui atterrati dalle frecce. «Almeno sei sicuro che fosse un impostore? Potevi fargli qualche domanda!» Maegras corse dietro al compagno elfo con il terrore che potesse giustiziare anche i due feriti. «Sono sicuro: padre Gearard si imbufaliva se qualcuno gli dava dell’anziano. Una volta ha messo il confratello Leannan in isolamento per una settimana, solo perché si era preoccupato di portargli una cappa di lana più pesante in una gelida notte di inverno. Era camuffato con un sortilegio quindi probabilmente era un mago, perciò è stato meglio non dargli possibilità di parola. Mi stupisce che non sia giunto rapidamente alla mia stessa conclusione, di solito quello rapido con i ragionamenti sei tu!» ribatté senza neanche voltarsi mentre giungeva ai piedi dei trafitti, poi guardandoli attentamente si rivolse a loro con tono piccato «Ora, feccia bugiarda, avete visto il vostro compagno volare? Vi farò la domanda una volta sola, rispondete o vi farò incontrare la nuda roccia del crepaccio. Quanti altri verranno? Che ne è stato del vero Padre Gearard?». Il chierico si chinò a girare il presunto Sir Raynolds, disteso di spalle, ma il volto di prima era sparito sostituito da una liscia superficie di argilla. «Dannazione, ma cosa…?» Agladur fece un balzo indietro sorpreso dalla scoperta. «È un… golem d’argilla! Indietreggia!» Maegras non riuscì ad avvertire in tempo il compagno che fu afferrato alla caviglia dalla presunta Lady Sila che, rialzandosi, lo fece cadere all’indietro tenendolo ben saldo e issandolo come fosse un sacco. «EGO TE INCENDO!» la mano del chierico proruppe fiamme bianche che si avvolsero sul corpo del golem spegnendosi immediatamente al contatto. «I golem sono immuni alla magia, Agladur! Alzek aiutaci!» urlò prontamente il mago che guardava inerme e impotente il compagno cercare di liberarsi dall’implacabile morsa. Da dietro partirono prontamente dei comandi in lingua nanica: «Ersiam, sgŭnet i zatvoret! Doko, Blag, napredvan kŭm otbranat!» una squadra da otto si voltò e marciò verso l’entrata della città mentre quella capitanata da Alzek in testa avanzò rapida in soccorso dei due elfi. Il nano capofila cambiò registro linguistico per farsi capire anche dal chierico e urlò a squarciagola: «Stanno arrivando i loro rinforzi, dobbiamo ripiegare subito!» Maegras spostò allora l’attenzione alla piana e, alla luce scemante del crepuscolo serale, vide giungere da dietro l’insenatura da cui saliva il sentiero la luce di una miriade di torce; grazie all’acuta vista di cui era dotato poté distinguere, nonostante la distanza, coloro che le sorreggevano: armati solo di asce rudimentali, senza scudi e con folte pellicce a ricoprirne l’inconfondibile marrone verdastro della pelle. Orchi. Centinaia di orchi, a giudicare dalle luci. E in aumento, a giudicare dal rumore. Mentre il mago cercava di trovare una veloce strategia di fuga, i nani lo sorpassarono e si divisero in due gruppi da quattro. Poi ogni gruppo da quattro si divise ancora in due e attaccarono ai lati i golem d’argilla. Il primo costrutto magico aprì le braccia cercando di attaccare, ma i nani si abbassarono e colpirono le ginocchia del nemico. Le lame si incastrarono nel materiale terroso e bloccarono l’avanzata dei guerrieri. Intanto il golem che teneva Agladur decise di liberarsi del prigioniero, perciò con rapidità lo sollevò e poi lo sbatté con forza sul terreno. L’elfo cadde di schiena e l’urto gli spezzò il fiato immobilizzandolo. Poi il golem si preparò a difendersi nello stesso modo del compagno ma, avendo visto quanto era accaduto agli altri pochi attimi prima, due dei nani conficcarono consciamente nelle articolazioni argillose le lame delle asce e afferrandone il bastone con entrambe le mani, spinsero con tutta la forza, mentre da dietro di loro gli altri due arrivarono in carica facendo sbattere lo scudo di metallo contro la schiena dei compagni. L’urto fu così potente da scaraventare il golem faccia a terra. Prontamente i guerrieri appena sopraggiunti lasciarono lo scudo e, estratte le asce, gliele calarono inesorabilmente sul collo staccandogli di netto la testa. I compagni ancora bloccati con il primo golem videro la scena e con una rapida occhiata si accordarono per attuare la stessa strategia, ma altrettanto aveva visto la creatura, che pertanto spostò il baricentro indietro per reggere l’urto degli ultimi due nani che già erano partiti alla carica. Con un brevissimo cenno d’intesa i guerrieri vicino alle gambe spinsero entrambi lateralmente e con impeto le armi bloccate, prendendo di sorpresa il costrutto che cadde sul fianco. Le ultime due guardie in carica estrassero le asce e colpirono ripetutamente due volte ciascuno, esattamente nello stesso punto il collo del nemico, decapitandolo. La squadra si ricompattò velocemente in due gruppi da quattro. La loro gioia fu interrotta subito perché il primo nemico caduto si rimise in piedi privo del capo. « D e a r c a d h D r a í o c h t a ! » Maegras pronunciò le parole arcane e si passò una mano sugli occhi: immediatamente le sue iridi bigie divennero zaffiro e cominciarono a produrre un vapore bianco e denso che fuoriusciva dai lati, quindi esaminò rapidamente le due creature antropomorfe: «Hanno il nucleo magico all’altezza dell’ombelico, finché rimane intatto continueranno a muoversi. Distruggetelo!» I nani si disposero in cerchio mantenendo i nemici all’interno e gli elfi fuori da esso. La guardia nanica Blag, che era riuscita a decapitare il secondo, guardò la propria arma ed esclamò: «Non possiamo arrivare così in profondità, l’argilla ci blocca i colpi!» «Formazione martello e scalpello! Napred! Avanti!» Alzek diede subito il comando e partì in carica mentre i tre dietro di lui imbracciarono lo scudo. Il caposquadra caricò frontalmente il golem, ma invece di calare l’ascia dall’alto o lateralmente la protese in avanti come lancia, colpendolo con la punta presente sulla parte alta del manico, poi si piantò bene con i piedi a terra e indurì il corpo preparandosi ai colpi del costrutto che non tardarono ad arrivare. Il golem infatti chiuse i pugni che divennero due blocchi sferici di terra induriti e li calò con forza sulla pancia e sulla schiena del guerriero. L’urto fu sincronizzato e violento e Alzek sputò sangue dalla bocca, ma non si mosse di un millimetro. I suoi compagni si gettarono in carica con lo scudo contro il manico che il caposquadra teneva ben saldo. A ogni urto si scansavano a destra e a sinistra e si riallontanavano per caricare di nuovo. La seconda squadra da quattro osservò l’attacco e lo riprodusse immediatamente con Blagodat, figlio di Boji, a sorreggere l’ascia a mo’ di scalpello. Alzek dovette sopportare quattro colpi consecutivi prima che la terza ondata di carica riuscì a perforare l’addome del golem, che si disgregò in tante parti a seguito della distruzione del suo nucleo magico. Una volta distrutto il nemico, Alzek cadde a terra sulla schiena, immobile e con il sangue che gli colava dalla bocca. Blagodat fu più fortunato di lui, avendo dovuto subire solo due colpi, e rimase in piedi seppur a stento. Maegras si gettò sul nano morente, mentre con lo sguardo cercava di calcolare la distanza degli orchi. «Alzek, figlio di Krum, alzati! È un ordine!» esclamò con vigore l’elfo nella speranza di arrivare alle parti più recesse della mente del guerriero per spronarlo a reagire ai comandi a cui era abituato «Agladur! Dov’è il chierico?». Il sacerdote boccheggiava sulla neve e cercava di mantenere la concentrazione sul respiro mentre due nani lo presero sotto le braccia e con poca delicatezza lo trascinarono verso il compagno a terra, schiamazzando: «Sŭbuzhdam! Sveglia! Elfo! Devi salvarlo! Sŭbuzhdam! Sveglia!». Gettarono il sacerdote a faccia avanti vicino al compagno. Agladur si mise sulle ginocchia e cercò di usare il poco fiato che aveva per pronunciare il rituale per la taumaturgia: «Ego…te mĕdĕ..or!» impose la mano sul petto della guardia ma la luce biancastra si spense subito. «Respira! Respira e riprova! Sila! Forza!» i compagni di Alzek incitavano il chierico a gran voce. «Agladur, puoi farcela!» Maegras si avvicinò al compagno per supportarlo ma egli scosse la testa. «Non…posso!» il chierico rispose, mentre cercava di allontanarsi carponi dal corpo del nano. «Perché??» il mago non riusciva a capire. «È già morto…». Blagodat afferrò Agladur dal bavero metallico della sua armatura e lo sollevò, facendolo inginocchiare e strattonandolo, portando il viso glabro dell’elfo a pochissima distanza dal suo barbuto, poi con sguardo arcigno lo intimò: «È morto per salvare il tuo culo! Se non sei stato in grado di salvarlo lo riporti in vita, adesso!» «Non posso…non ne ho… il potere!» balbettò con il fiato che gli rimaneva «Mi dispiace… per la vostra perdita… Ormai è andato. Non tornerà più». L’incantesimo arcano lanciato da Maegras terminò e dai suoi occhi svanì l’innaturale luminescenza lasciando spazio alle lacrime. Il mago pianse silenziosamente mentre osservava il volto oramai disteso del guerriero a terra. Pianse perché Alzek, figlio di Krum, era stato il primo nano con cui aveva mai parlato, il primo che lo aveva accettato nonostante appartenesse a una razza dagli usi e costumi così distanti dai propri, il primo con cui aveva assaggiato e gustato il sapore della birra nanica, il primo ad accoglierlo ad ogni arrivo e sempre l’ultimo a salutarlo sulla soglia della porta di pietra di Kar ‘N Kar. «Gli orchi. Stanno arrivando» Agladur interruppe il silenzio mentre, ancora in ginocchio, indicava la rumorosa armata in arrivo. Le fiaccole risaltavano nell’oscurità del crepuscolo ormai inoltrato e preannunciavano una notte senza riposo. «Se nagŭn! Ripiegate! Leglo shtit Alzek! Branda-scudo per Alzek!» Blagodat prese il comando e diede l’ordine. Subito i compagni d’arme girarono lo scudo di Alzek con la parte convessa rivolta verso l’alto e vi adagiarono il corpo del caduto, poi lo alzarono e in marcia si diressero verso il ponte per oltrepassare la porta principale. I cinque guerrieri rimasti attesero i due elfi. Agladur si avviò a passo spedito sul ponte mentre Maegras si attardava scrutando l’avanzata degli orchi. «Maegras! Veloce! Non possiamo reggere un attacco frontale, siamo solo cinque. Che stai guardando?» il nuovo caposquadra sollecitò con vigore l’elfo che temporeggiava. «Abbiamo circa due minuti prima che la loro carica ci travolga, sto cercando di capire che senso abbia: se ci chiudiamo le porte dietro non entreranno mai. Non hanno speranze di valicarle. C’è qualcosa che non mi torna, non capisco cosa…» il mago continuava a guardarsi intorno per vedere quale fosse l’espediente del nemico. Anche i nani cominciarono a scrutare i dintorni ma tutti furono interrotti da un rumore assordante proveniente dal crepaccio, come di rocce che si frantumano e rotolano a valle, poi una voce rauca, profonda, aspra e caustica li gelò: «Lo sssssapete cossssa faccio a quelli che sssssi credono un dio?» una grande zampa artigliata e coperta di scaglie si aggrappò al ciglio del burrone «Li guardo intensssssamente fino a quando non sssssi urinano addosssssso e poi… li brucio!». Emersero due ali a membrana di color verde pallido e una seconda zampa artigliata «Dove ssssei chierico? Il lassssciapassssare per il mondo dei morti non portava il mio nome, ma il tuo!» Finalmente comparve il muso del drago: dalle aperture nasali emergeva un gas verde e qualche piccola fiamma, gli occhi erano due fessure completamente azzurre e rilucenti senza iride né pupilla. Sulla testa due corna spuntavano dalla parte frontale del cranio, si allargavano verso l’esterno per poi ripiegare verso l’interno e puntare quasi l’una contro l’altra. La creatura balzò e atterrò in tutta la sua maestosità nella piana tra il ponte e i nani. Ora la potevano guardare nella sua interezza: aveva quattro zampe, era lunga una ventina di metri e la sua apertura alare era quasi altrettanto; tutto il corpo era coperto di scaglie color smeraldo. Annusò l’aria tirando fuori la lingua poi di scatto girò il muso verso il ponte, dove i due guerrieri che sorreggevano Alzek avevano aumentato la velocità della marcia e Agladur invece si era fermato a osservare spaventato l’essere che aveva scalato il crepaccio e raggiunto la piana. Girandosi il drago fece frustare la coda contro le cinque guardie naniche e Maegras, facendoli cadere a terra nella neve ghiacciata. Poi inspirò profondamente e tirò la testa indietro. «PARIES VENTI!» il sacerdote alzò le braccia al cielo e poi le calò celermente verso il basso. Dalla bocca del drago emerse un soffio verdastro di gas venefico che vorticando si diresse espandendosi verso l’elfo e i due guerrieri in marcia, ma a ridosso delle sue vittime un vento verticale ne deviò il getto verso il crepaccio sotto il ponte. I cinque guerrieri nanici atterrati si rimisero prontamente in piedi e cominciarono a caricare il drago senza accenno di tentennamento. La grande lucertola sentì le affilate asce di acciaio che tentavano di scalfire le zampe posteriori e la coda, così si voltò nuovamente dando le spalle ad Agladur, il quale si accertò che le due guardie naniche che portavano il caduto potessero varcare la soglia ancora aperta di Kar N’ Kar. Il suo sorriso di compiacimento si spezzò quando vide che le porte principali si stavano chiudendo: che li volessero chiudere all’esterno con l’esercito di orchi e il drago? Ma subito dopo la faccia nanica scolpita nella montagna cambiò radicalmente: una porta nascosta comparve sopra il bassorilievo della bocca; gli occhi poi si distanziarono e sprofondarono all’interno della montagna e al loro posto emersero due baliste spinte su binari di acciaio su cui erano incoccati arpioni in argento nanico lunghi tre metri. «POZDRAV DO GIGANTA!» urlò un guerriero dietro ai balestrieri, poi i due arpioni partirono. Uno si conficcò nel terreno vicino alla zampa posteriore sinistra del drago e l’altro forò la membrana dell’ala conficcandosi nel terreno tra Maegras, appena tornato in piedi, e Blagodat. Ai due arpioni erano legate due corde di canapa cosparse di pece. La corda di quello andato a segno fu immediatamente incendiata e l’altro capo, legato a una palla di pietra, fu gettato nel crepaccio. Le baliste vennero prontamente ricaricate. La fiamma corse saettando su tutta la corda bruciando la membrana dell’ala destra della grande lucertola. Il drago morse la canapa della corda che gli costringeva l’ala a terra e si liberò. I cinque guerrieri in lotta corpo a corpo con la creatura sfruttarono la disattenzione per indietreggiare così da allineare la loro posizione, quella del nemico e quella delle baliste del “saluto del gigante” già pronte per una seconda ondata. Maegras seguì i compagni e sfruttò l’occasione per guardarsi dietro e controllare gli orchi in carica che, a una rapida occhiata, sembravano essersi fermati. Maegras cominciò a cercare una spiegazione: che si fossero fermati per paura del drago? Perché coordinarne l’attacco allora? Ma gli orchi non erano una preoccupazione imminente. Non sapeva neanche se sarebbe riuscito a sopravvivere all’attacco che li avrebbe probabilmente spazzati via tra un minuto. Il drago davanti a loro si girò di nuovo verso la montagna e si mise in piedi sulle zampe posteriori, poi con due ampi colpi d’ala cercò di deviare l’attacco dei due arpioni in arrivo ma essi erano troppo pesanti per subire un’ingente deviazione dal vento e uno di essi arrivò a lacerare la zampa posteriore sinistra della creatura che ruggì nell’aria la sua ira. I guerrieri si trovarono di nuovo con la parte posteriore a portata di ascia e quindi caricarono con veemenza cercando di produrre il massimo danno possibile. I due fronti fiancheggiati continuavano incessantemente a impedirle di dare sfogo alla sua forza, quindi la lucertola verde decise di allontanarsi: si voltò con un balzo e facendo due ampie falcate spiccò il volo. Mentre prendeva terreno, però, avvolse la sua lunga coda attorno al mago portandoselo dietro come scudo. L’elfo ebbe le mani bloccate nelle spire e pertanto riuscì a dire solamente: «Fuggite e distruggete il ponte!». Fu strattonato e scosso a ogni battito di ali e ruotare più volte gli fece perdere cognizione dell’alto e del basso, ma nonostante ciò Maegras riuscì a capire che gli orchi stavano tornando indietro e caricando nella direzione dalla quale erano venuti. Il drago intanto era volato verso valle per un centinaio di metri e ora, dopo un’ampia virata, tornava dall’alto verso la porta dei nani, deciso a utilizzare la sua arma migliore contro le baliste: il soffio infuocato. Da una delle due aperture, però, avvolto in un mantello di lana scura, emerse Turgul con un sorriso raggiante: «Agladur! Sono arrivato! Avevi paura del drago?» «Sei venuto a darci coraggio o a colpirlo? Avanti fa qualcosa!» urlò spazientito Agladur che intanto faceva passare i cinque guerrieri, che senza farsi domande si accingevano a eseguire il comando di Maegras. «Oh, valenti guerrieri della montagna, la grande lucertola vi ha fatto forse timore?» Turgul ignorò il compagno e pose la stessa domanda alle guardie che scossero la testa fiere. «Bene! È esattamente come sospettavo…» lo stregone sorrise di gioia, poi si rivolse ai balestrieri «che gittata avete?» «Circa centoventi metri. Perché?» chiese il balestriere di sinistra. «Io arrivo più lontano» lo stregone si mise tra le due armi, poi aprì il mantello e scoprì le mani e le braccia nude. «Giorni di meditazione profonda per arrivare a questo…» chiuse gli occhi e vide dentro di sé, all’altezza dell’ombelico, saettare un lampo. Si concentrò e le scariche si susseguirono sempre di più, fino a che non giunsero alla sua bocca le parole: « D e a l a n a i c h ! » aprì gli occhi in cui le iridi erano sparite e le cui orbite oculari bianche erano pervase da scosse elettriche; riusciva a vedere nitidamente qualsiasi cosa di fronte a lui nel raggio di oltre trecento metri: ogni creatura, ogni insetto, venatura della roccia della montagna o gocciolina di umidità che galleggiava nell’aria, per un breve istante tutto era alla sua portata. Allineò allora tutte le goccioline d’acqua che collegavano la sua mano al petto del drago in volo e un fulmine si propagò nell’aria generando un tuono assordante. Il drago fu colpito in pieno e precipitò; verso gli ultimi metri aprì le ali nel vano tentativo di evitare l’impatto, cercò di ammortizzare bene l’urto con le gambe, ma non gli riuscì neanche quello e quindi ruzzolò sul fianco, allentando le spire della coda e liberando l’elfo imprigionato. Maegras ruzzolò nella neve, che attutì la caduta, ma la terminò sullo sperone di una roccia sporgente a ridosso del crepaccio sbattendo spalla, fronte e perse i sensi. «Agladur, Maegras è caduto! Vallo a prendere, io sto arrivando» Turgul si ammantò e scese velocemente dal piano di attacco delle baliste «Figli della montagna, niente tregua per il verme verde! Non è morto, inchiodatelo al terreno!». I nani non se lo fecero dire due volte e ricaricarono velocemente le armi mentre il drago tentava di alzarsi invano con le parti del suo corpo che, ancora pervase dalle scariche elettriche, non rispondevano perfettamente ai suoi comandi. Agladur sentì il suggerimento del mezz’elfo quando era già partito per soccorrere il compagno arcanista precipitato, con tutta la celerità che gli permetteva l’armatura d’argento nanico che vestiva; arrivò alla fine del ponte e scattò a sinistra per raggiungere Maegras, ma la lucertola alata, a pochi metri da lui, lo seguì con lo sguardo e girò il collo cercando di bloccarlo. Inspirò e aprì la bocca: dalla sua gola una luce rossastra emerse, ma prima che le fiamme potessero erompere dalle sue fauci due arpioni lo trafissero sul costato e sul dorso. La bestia ruggì di dolore cadendo sul fianco e permettendo al sacerdote di continuare la sua corsa e fermarsi a ridosso del caduto, cominciando la sua litania liturgica. Lo stregone intanto era quasi arrivato alle porte che erano affollate di guerrieri. Blagodat aveva appena ricevuto un piccolo oggetto da un compagno e si apprestava a riuscire. «Fatemi passare! Devo uscire!» «Sbrigati, mezz’elfo!» Blagodat fece cenno con la testa e si voltò, varcando la soglia da solo. «Nano, che intenzioni hai? Vieni solo?!» Turgul lo affiancò e uscì nella notte gelida. «Perché non rifai quella tua magia e lo finisci definitivamente?» chiese il guerriero con la sua voce tonante. «Ne posso lanciare solo una per ora, quella magia mi debilita molto. Ma ne ho altre. Tu perché non hai i tuoi compagni vicino? Da solo è un suicidio!» «Ho tutto quello che mi serve con me. Sbrighiamoci a riprendere Maegras e finire il drago» Blagodat rispose con un sorriso eccitato. Turgul sfruttò le leve più lunghe per correre e terminare la corsa sul ponte prima del nano. Davanti a lui il drago veniva colpito ripetutamente dalla mira infallibile dei balestrieri: aveva già sette arpioni conficcati nel corpo. Il mezz’elfo provò a richiamare alla mente l’incantesimo più potente che poteva lanciare ma non fece in tempo neanche ad alzare le braccia che il corpo del drago esplose in una nuvola di vapore. Maledetto! « L i a t h r ó i d L a s a i r ! » Turgul produsse una sfera infuocata galleggiante del diametro di mezzo metro davanti ai suoi piedi, aprì il palmo della mano e stese il braccio davanti a lui, facendo schizzare la sfera arcana verso il centro della nuvola di vapore e tracciando un nitido tunnel nel gas. Poi descrisse con il palmo una serie di cerchi nell’aria e il globo di fuoco cominciò a muoversi e dissolvere tutta la fumosità che si elevò verso l’alto formando un vortice e scomparendo dalla piana. Nella zona appena liberata dalla bruma la neve era completamente sciolta, lasciando un’area di roccia umida al cui centro si ergeva nudo un uomo glabro e minuto. «Ora ti mostri per quello che sei, impostore! Blagodat, è lui il drago! Uccidilo!» il mezzelfo cominciò a correre e aveva già in mente le parole del prossimo incantesimo, mentre con lo sguardo controllava i movimenti del nemico che ora aveva palesato il suo vero aspetto. «È lui? Ma come…» il nano non capiva, ma comunque aveva estratto l’ascia e seguiva lo stregone in carica. L’uomo svestito aprì le braccia e cominciò a rotearle mentre con voce flebile pronunciò alcune parole. « D r a í o c h t a D h i ú s c a i r t ! » Turgul correndo allungò il braccio e urlò tempestivamente il controincanto bloccando il nemico che non vide prodursi gli effetti desiderati. La distanza tra i due era meno di venti metri, così l’umano fece un paio di passi indietro ma fu bloccato dal dolore lancinante prodotto dalle acuminate rocce sotto i suoi piedi scalzi. Si guardò attorno, ma il terreno impervio gli impediva la corsa, così si girò e con un gesto secco alzò il braccio destro: « D r a í o c h t a D h i ú s c a i r t ! » lo stregone di nuovo bloccò la sua magia sul nascere mentre correva nella sua direzione seguito dal nano armato e arcigno. Erano rimasti solo dieci metri a separarlo dai suoi due nemici in carica, così guardò di nuovo a terra e chinandosi colpì con foga le pietre acuminate a terra lacerandosi il palmo. Con il sangue che uscì disegnò un cerchio e dei segni al suo interno. L’uomo pronunciò le sue parole con un grido disperato: « F e a r I a r a n n ! ». Turgul non aveva mai visto nulla del genere e non fece pertanto in tempo a produrre alcuna contromisura prima che dal cerchio emergessero dei vapori neri e densi i quali formarono un imponente corpo umanoide alto tre metri. Lo stregone arrestò la propria corsa bloccato dalla visione della figura appena evocata: il fumo nero si era addensato diventando acciaio nero e comparvero una grande armatura con scudo e lancia. «È un golem di ferro!» Turgul era rimasto gelato: contro di lui non poteva fare alcunché poiché era immune a qualsiasi tipo di magia, inoltre a differenza dei fratelli minori fatti di argilla, vantava una difesa fisica per il proprio nucleo magico praticamente impenetrabile. «Spostati! A questo ci penso io! Ho portato il gesso del gigante!» Blagodat scansò con poca grazia il mezzelfo che per poco non cadde a terra. Poi strinse il pugno sinistro con forza, lo alzò sopra di sé e lo aprì strofinandone il palmo sulla testa, sulla faccia, sulla placca toracica dell’armatura e sull’ascia, lasciando una brillante scia di polvere bianca al suo passaggio. In un breve istante le sue dimensioni e quelle del suo equipaggiamento crebbero tanto da rivaleggiare con quelle del golem di ferro. Senza attendere oltre cominciò a incalzare il costrutto di metallo con una serie di colpi su tutto il corpo mentre il golem rispose con altrettanta veemenza. Mentre la lotta tra i due giganti imperversava, Turgul li aggirò diretto verso l’umano che aveva evocato la guardia inanimata. Lo vide inginocchiato e di schiena così lanciò rapido il suo incantesimo per ucciderlo: « D i ú r a c á n D r a í o c h t a ! » Due saette blu eruppero dalle sue dita e si schiantarono sul collo e sulla nuca del nemico. Ma al posto della pelle umana bruciata emersero delle scaglie verdi. L’uomo si girò con sguardo fiero e soddisfatto: aveva rilanciato l’incanto di metamorfosi e i suoi occhi neri erano diventati azzurri facendo scomparire la pupilla; il suo corpo si ingrandì, mentre dalle scapole emersero due grandi rostri che si allungarono, così come la punta della sua colonna vertebrale si estese producendo lunghe spire, le sopracciglia lasciarono posto a due grandi corna. Turgul si girò e cominciò a correre verso il ponte davanti a cui trovò Maegras sorretto da Agladur, entrambi guardavano stupefatti la trasformazione dell’arcanista umano. «Adessssso chi vi sssssalverà?» il drago fece un balzo all’indietro e inspirò e un ventaglio di fiamme inondò la piana facendo sublimare tutta la neve. Si mise poi sulle zampe posteriori e sbatté energicamente le ali spingendo la nebbia prodotta verso la porta della città: «E per un po’ quegli sssssstupidi arpioni non potranno puntarmi». Poi si guardò attorno per godere della vista dei corpi carbonizzati dei suoi nemici, ma un’amara sorpresa lo attendeva: Maegras aveva il braccio teso davanti a sé e con una barriera azzurra aveva protetto lo stregone e il chierico dal torrido soffio del drago. Blagodat invece si era riparato dietro allo scudo torre aveva strappato pochi istanti prima al golem. Ora, diventato incandescente, lo usò come mazza per colpire il corpo del costrutto che perse l’equilibrio cadendo a terra. Il nano calò velocemente l’ascia sulla placca toracica del nemico che, riscaldata dal soffio del suo padrone, era diventata morbida. La tagliò come burro e riuscì a colpire il nucleo magico che lo alimentava, distruggendolo. «Blagodat, ripiegare!» Maegras urlò il comando ma il nano, ebbro dell’eccitazione di aver abbattuto il temibile nemico di ferro, caricò a testa bassa contro la lucertola alata. Il drago si girò agilmente e con la coda spazzò via le gambe della guardia nanica, poi terminò la rotazione del corpo portandosi di fronte al nano atterrato e con la zampa anteriore destra lo schiacciò costringendolo a terra e comprimendogli con forza il torace sotto il suo peso, bloccandogli il respiro. «Benissssssimo, mio rissssspettabile confratello arcanissssta. Mi inchino a cotanta abilità abiurativa! Uno ssssscudo degnisssssimo! Quanto ti durerà però? Datemi le ssssssfere e vi ridò anche il vossstro amico. Mi sssssono divertito, in fondo. Chiudiamola ssssenza vittime, che dici?» il drago parlò con la gola che si illuminava sempre di più. Agladur prese parola: «Hai già mietuto vittime, impostore. Alzek figlio di Krum è morto a causa dei tuoi golem d’argilla. Io non tratto con gli assassini. Li giustizio!». «Ah, ssssssi? Come hai fatto poco fa quando mi hai ssssscaraventato nel crepaccio?» chiese il drago spostando a poco a poco il peso del proprio corpo sulla zampa che costringeva il nano a terra. «No, questa volta l’inesorabile punizione ti travolgerà e ti dilanierà le carni». Il suono degli zoccoli delle cavalcature in avvicinamento non fu udibile se non a pochi metri, ovattata precedentemente dalla neve. Due cavalli a destra e due a sinistra lo affiancarono in corsa, mentre lance da cavaliere gli penetravano entrambi i fianchi. I cavalieri in corsa lo trafissero rompendo nell’impeto della corsa tutte le lance, le cui punte rimasero conficcate nelle carni della bestia magica che, dilaniata dal dolore, si eresse sulle zampe posteriori e si girò a fronteggiare il nemico. «Egli ti libererà dal laccio del cacciatore, dalla peste che distrugge. Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra; ma nulla ti potrà colpire…» Una luce bianca si materializzò dal guanto d’armi del cavaliere che sopraggiungeva per ultimo e camminò dall’impugnatura della lancia fino alla sua punta, ricoprendola interamente. «…Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi!» La lancia penetrò tra le scaglie della clavicola della bestia e si fece varco tra le carni in profondità senza rompersi. La corsa del cavallo continuò, ma il cavaliere aveva il guanto d’armi legato all’impugnatura dell’arma e fu sbalzato di sella rimanendo attaccato al drago. Il contraccolpo fu inaspettato e per poco non gli ruppe il braccio, ma egli riuscì a compensare contraendo l’addome e stringendo il braccio al corpo. Tornato con i piedi a terra tentò di fare leva con il proprio peso per estrarre la lancia dal torace della lucertola ferita. Quest’ultima però non era perita, nonostante il vigore del colpo e il punto colpito e, con quel poco di forza vitale che gli era rimasta, richiamò tra le sue fauci le rosse fiamme del suo caldo soffio. «Sfila la lancia!» urlò una voce di donna da dietro al suo nemico. Ma lui aveva un braccio solo e non poteva allontanarsi in alcun modo. «Sssssaluta il mondo, cavaliere» disse il drago al suo boia con l’ultimo alito di arroganza che gli rimaneva. Ed egli, questa volta con consapevolezza, rispose: « R A I D O ! »

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