Umido.
La stanza era umida e l’odore di muffa era forte, come anche in tutto il resto dell’edificio.
Dopotutto la struttura si reggeva economicamente solo sulle offerte fatte alla Chiesa e al paladinato dagli abitanti della cittadina di Mallord. Per le reclute dormire all’aperto era importante per potersi abituare al titolo di “paladino errante”. Ma tra i paladini c’era chi veniva scelto per rimanere, non per errare a divulgare il credo dell’altissimo, e dormiva in povere stanze fatte con argilla essiccata al sole e tetto in paglia, ammobiliate solo con una brandina e un baule consumato. Guadagnavano il “privilegio” di dormire al chiuso solo i migliori, coloro i quali avevano il carisma adatto al comando, al ruolo di coordinatore o aiutante. Per avere altri paladini erranti servivano addestratori che facessero da punto di riferimento, altrimenti in pochi mesi o anni si sarebbero estinti. Nonostante la dura preparazione, un paladino errante aveva comunque un’aspettativa di vita piuttosto corta.
«Perché fai lo zaino da viaggio?» chiese una voce femminile alle sue spalle.
«Vado via…» rispose lui, senza voltarsi.
Lo zaino era piccolo, tanto non c’era molto con cui riempirlo: cote, acciarino, pietra focaia, carne di maiale sotto sale per tre giorni e una mela; poi coltello, faretra, arco corto, giaciglio, borraccia, porta pergamene, borsa da cintura. Tutto posto in ordine sul letto, con la sola luce di una candela a illuminarlo mentre l’attento paladino ricontrollava con gli occhi tutto il necessario e riponeva nello zaino ciò che non avrebbe dovuto tenere invece a portata di mano.
«Vuoi che ti aiuti a stringere il giaco di maglia? Dove l’hai messo? Non lo vedo. Neanche la tua spada…» continuò incerta la voce di donna.
«Lo spadone è alla tua sinistra. Il giaco è da Grimes, che lo sta ricontrollando; poi mi aiuterà lui a indossarlo. Grazie comunque dell’offerta».
Si girò tenendo in mano la candela la cui fiamma si riflesse nei suoi occhi verdi e sui suoi capelli biondo scuro. Nessuna barba ad ornargli il volto severo: la rasava quotidianamente per ricordarsi della metà elfica del suo sangue. Aveva indosso solo una maglia bianca di lana, usurata e sgualcita, e le braghe di cuoio marroni per le protezioni delle gambe. Ai piedi aveva stivali di cuoio invernali.
«Maeva, non facciamola lunga: non sono bravo con gli addii. Devo andare…»
Allungò il braccio sinistro verso la donna, alzando la candela, per poterne osservare meglio il volto: gli occhi azzurri erano un po’ arrossati e i capelli biondi e lisci erano bagnati dalla leggera pioggerella che cadeva inesorabile da ormai due giorni, segno che aveva fatto il turno di guardia fuori. La cotta a maglie era arrugginita in alcuni punti e anche l’ala di cigno in rilievo sulla piastra pettorale aveva un colore brunito causato dall’ossidazione del ferro. La ragazza si avvicinò di un passo:
«No, non sei costretto ad andare: puoi rimanere al paladinato. Sei stato scelto come me per stare qui. Puoi partire per il tuo viaggio un’altra volta! Magari quando avrai qualcosa di più…»
«Ho atteso ventinove anni nella speranza di avere anche una sola flebile luce di candela da seguire. Ora che ne ho una non rimarrò un altro giorno di più. Addio…»
«Perché addio? Tornerai. Ti sei addestrato duramente»
«I paladini erranti tornano solo per essere sepolti»
«Ma tu non sei un paladino errante! Sei un membro del paladinato che per un po’ ha deciso di viaggiare. Come Sir Raynolds: andrai con lui fino a Tor Hill, no?»
Senza proferir parola lui si issò lo zaino sulla spalla sinistra, prese lo spadone e lo infilò nel fodero sulla spalla destra e senza un solo sguardo varcò la soglia e con la candela ancora in mano si diresse verso l’armeria.
Stupido!
Lei non lo seguì, chiuse la porta e si diresse verso la propria stanza.
Grimes, fabbro e armaiolo del paladinato, era nell’armeria. Una stanza angusta e senza finestre. In quel momento Grimes sistemava l’armatura a piastre a Sir Raynolds, vicecapo del paladinato, uomo sulla cinquantina, un po’ in sovrappeso per essere un paladino errante, ma nella norma per chi restava tra le mura con le reclute. L’armatura era stata allargata alla vita per essere indossata: era già passato un anno dall’ultima volta. La barba brizzolata non era lunga come quella di un mago, ma neanche corta come un giovane nano. I pochi capelli bianchi, rimasti ormai solo sopra alle orecchie, erano ben pettinati con olio profumato estratto dai fiori del campo dietro la chiesa e ricordava vagamente l’aroma della mandorla. Gli occhi castani pieni di vigore si posarono sul paladino appena entrato.
«Kanalagon, se sei con l’arma in spalla, vuol dire che lei non è riuscita a convincerti. Ergo io non ho speranze. Il giaco è in buone condizioni, fattelo mettere da Grimes. Io ho finito e ti aspetto fuori. Il cavallo è pronto?»
«Sir Raynolds, il cavallo è pronto. Indosso il giaco e arrivo»
«Kanalagon, un’ultima volta vorrei però ricordarti, forse inutilmente, che le notizie sull’Occhio Rosso che ci hanno riportato Sir Williams e Sir Cook sono state raccolte da discorsi di avventurieri nel loro viaggio a est e quindi potrebbero essere completamente mendaci»
Il giovane paladino andò con passo deciso da Grimes per indossare le sue protezioni. Mentre si infilava il giaco, si girò e con assoluta determinazione rispose:
«Da quando sono nato non ho avuto nulla, se non questa notizia. Anche se non è sicura devo essere io a verificarla. Qualora risultasse infondata vorrà dire che sarà comunque una buona occasione per divulgare il Credo del Giustissimo nel regno dell’ovest»
È pronto!
Raynolds capì che sarebbe stato del tutto inutile insistere: Kanalagon era valoroso, generoso e altruista come tutti i paladini e come tutti i paladini era anche testardo come un mulo, la migliore qualità di ogni guerriero del Dio della Giustizia. Dal resto del mondo di solito venivano considerati stupidi, ma la fede non è stupidità: è forza e determinazione contro cui non si può trattare. O la si distrugge o si viene distrutti da essa. Uscì facendo un breve cenno del capo, facendo intuire che aveva capito e accettava la sua decisione.
Kanalagon si girò verso Grimes per farsi sistemare i legacci laterali. Grimes aveva i capelli neri e spinosi come un riccio, la barba nera e spinosa come un riccio e il viso… come un riccio. Il naso largo e sempre arrossato, gli occhi neri e la bocca sempre sorridente, ma con ormai ben pochi denti. Anche se aveva superato i trent’anni non era mai riuscito a terminare l’addestramento del paladinato: era troppo poco testardo. Così, essendo orfano come tutti, decise di rimanere nella Chiesa e fare quello che gli riusciva meglio: il fabbro. Ed era bravo, dannatamente bravo. Se fosse stato testardo la metà di quanto era bravo nel suo mestiere sarebbe diventato il miglior paladino della storia. Ma avrebbero perso un talento naturale in fucina. Raynolds aveva l’intenzione di mandarlo nel regno nanico di Karak ‘n Kar nel Nord, per non mandar sprecato il suo dono naturale, ma ogni volta che intavolava il discorso con Grimes lui cominciava a menare il martello sull’incudine con una forza tale da coprire la voce di Raynolds. Quando ne parlava durante i pasti, lui tirava su con la zuppa talmente forte da fare la stessa quantità di rumore che con il martello e subito dopo andava a dormire e col suo russare manteneva la stessa intensità di rumore prodotta durante tutto l’arco della giornata. Tra gli allievi in addestramento c’era chi sosteneva malignamente che Grimes fosse un nano troppo cresciuto. Adesso, con quella sua bocca sdentata, stava sorridendo all’amico mentre lo aiutava con la vestizione.
«Beh, buona fortuna Kano, mi mancherai. Racconterò ai novellini che eri un mulo esemplare!»
«Grazie Grimes, di te mi mancherà solo la bravura con la fucina; i tuoi rumori molesti li sostituirò con i suoni notturni della foresta, le ballate dei bardi nelle locande e lo sfrigolare della cacciagione sul fuoco»
Terminata la vestizione bastò un sorriso e un cenno del capo per salutarsi. Anche Grimes era pessimo con gli addii, e questo era andato esattamente come volevano entrambi. Uscito dalle fucine si avviò verso la stalla, dove anche il suo cavallo era ormai pronto. Il piccolo Mikolai Urman, allievo di dieci anni, aveva provveduto a strigliarlo, abbeverarlo, controllarne i ferri, riempire le sacche da viaggio, pulire la sella, dargli una carota sgraffignata dalle cucine e dargli un abbraccio d’addio. Mikolai Urman era un orfano il cui defunto padre era stato fattore in una campagna lì vicino. Essendo cresciuto in fattoria era quindi bravissimo con tutti gli animali e si era promesso di diventare paladino errante per poter salvare tutti i fattori di tutto il mondo. Questa era la sua “cerca”, la missione della vita di un guerriero della giustizia. Era forse un po’ troppo gracile e basso per diventare un avventuriero famoso, ma era un “mulo” giusto. Non tutti venivano ammessi, ma lui era passato quasi subito. Nessuno che fosse entrato avrebbe potuto dire di aver trascorso una vita bella e spensierata: passare più di dieci anni ad addestrarsi per poi morire nel giro di un paio. Solo i disperati, i reietti e gli stupidi lo facevano. E tra questi c’era anche Mikolai. Kanalagon gli si avvicinò e gli porse la mela che era nello zaino come pagamento extra per il trattamento al cavallo:
«Tieni, l’ho presa da quel meleto sulla strada per la città di Vecchia Diss»
«Grazie! Ci andrò anche io quando avrò finito l’addestramento. E ne porterò indietro un carretto intero!»
«Mik, ti dirò un segreto: ti ricordi quella storia che ti ha raccontato David Pike sul cavalcare i draghi?»
«Certo Kano! Non posso cavalcare nessun cavallo, devo fare addestramento sul Drago di legno e poi utilizzare solo il carretto fino a che non troverò un drago che accetterà di farsi cavalcare da me! Altrimenti rischio di dimenticare l’addestramento per il drago»
«Ok. Mik, tutto ciò che ti ha detto David Pike era una bugia: puoi cavalcare i cavalli anche se ti addestri sul drago di legno. Non dimenticherai mai l’addestramento»
Gli occhi di Mikolai si dilatarono e la sua bocca cominciò a tremare, cercando di trattenere il pianto: «Ma non è.…possibile! I paladini non possono dire le bugie, è proibito! David non può avermi mentito!»
Il paladino salì a cavallo e arruffò un po’ i capelli ramati e lisci del ragazzo con la mano guantata. Lo guardò negli occhi verdi, inumiditi dalle lacrime e gli rispose:
«David quando te l’ha detto ancora non era stato promosso a paladino: era in addestramento, e la promessa di non mentire si fa subito prima del giuramento. Io ho prestato giuramento, quindi è a me che devi credere!»
La storia del Drago di legno e del carretto la dicevano a tutti i nuovi allievi del paladinato di Mallord. Era per vedere se avrebbero prestato fede a quanto detto da un superiore. Di solito intorno ai dieci anni qualcuno cominciava a porre domande perché capiva che la cosa era del tutto illogica. Non Mik, che era visto da tutti come il credulone più grande della storia di Mallord. Il ragazzo tirò su con il naso e con un breve cenno della testa, come faceva di solito Raynolds, fece intendere che gli credeva. Poi si girò e corse all’interno, probabilmente in direzione delle cucine per andare a sottrarre altre carote alla cuoca. David gli aveva detto che per continuare ad avere i capelli rossi avrebbe dovuto mangiare continuamente carote, ogni singolo giorno, altrimenti i suoi capelli sarebbero diventati color “cacca delle rane di Pop-or”, il colore più brutto mai esistito che affliggeva solo i bambini nati con i capelli rossi. Per questo Mikolai Urman mangiava sempre carote, le dava anche a tutti i cavalli perché la sua seconda “cerca” era quella di colorare di rosso il crine di tutti i cavalli del mondo.
Diventerà forte.
Le porte della stalla erano state lasciate aperte, per cui salì a cavallo e si avviò fuori. Il suo destriero era una bestia di tre anni con il manto marrone, senza particolari segni di distinzione. Nessuno lo aveva voluto proprio perché per tutti era troppo facile da scambiare con un altro cavallo. Anonimo e non di particolare velocità né intelligenza, era rimasto per ultimo e fu proprio per questo che Kanalagon lo aveva voluto. L’aveva chiamato “Pelo” perché dopo una cavalcata si ritrovava i suoi crini ovunque: nei guanti, negli stivali, nella faretra e persino nella zuppa della minestra. Era sempre con lui: se non con il pensiero almeno con il pelo; un compagno inseparabile! I paladini di più esperienza acquisivano la capacità di evocare un animale celeste, un cavallo o un’altra creatura da cavalcare proveniente dal piano benedetto del Dio del Fulmine. Un dono dal Giustissimo al proprio fedele, che Kanalagon non avrebbe accettato fino a che Pelo fosse rimasto in vita. Uscendo a cavallo, vide che alcune figure lo attendevano a una ventina di metri sotto la pioggia leggera e la luce della luna crescente. C’era Sir Ernest Gary, capo del paladinato. Aveva i capelli grigi raccolti in una coda ed era più in carne di Raynolds; aveva già raggiunto la sessantina, un’età invidiabile per un paladino. Usava gli occhiali per leggere e teneva la barba molto corta con un pizzetto curatissimo. Raramente sfoggiava l’armatura da parata e in questa occasione… l’aveva lasciata esattamente dov’era: nella sala grande all’interno della teca per l’armatura da parata. Adesso indossava solo la consueta veste bianca con paramenti celesti e con il simbolo del pugno che stringe il fulmine ricamato sul petto al fianco del martin pescatore, simbolo della cittadina di Mallord; il mantello celeste aveva il cappuccio tirato su per proteggere il capo dalla pioggia, e i suoi occhi marroni non erano visibili nel buio. Parlava e gesticolava con il suo vice Raynolds, mentre questi distrattamente carezzava il collo del suo cavallo che aveva cominciato a scalpitare, impaziente di mettersi in marcia. A fianco a lui il suo primo allievo John, un adolescente castano di alta statura con gli occhi dello stesso colore. Dietro di lui tutti gli altri addestratori del paladinato erano disposti in linea dal più anziano al più giovane. Erano tutti lì per dare il saluto ai paladini che partivano. Il più alto in grado era Perkins il coordinatore, noto come Perkins della Lancia per la sua abilità nella giostra. Subito dopo veniva Collins l’Erborista, famoso per il suo decotto che curava tutte le malattie, ma che era inutile per i paladini, vista l’immunità a qualunque malanno che il Dio del Fulmine concedeva loro. Collins era sicuro che il Giustissimo gli fosse apparso in sogno sotto forma di ninfa e gli avesse suggerito il decotto per guarire il mondo intero, anche se raramente lasciava il paladinato. Al fianco di Collins c’erano Stark l’impassibile e Wyatt Scudo della Fede. Stark non diceva mai nulla in alcuna occasione. Da giovane era stato catturato e torturato per due giorni e l’unica cosa che erano riusciti a sapere da lui era che aveva sete, poiché aveva chiesto ai suoi carcerieri una borraccia d’acqua. Fin quando non fu liberato da Wyatt, il quale attirò i suoi aguzzini fuori dalla prigione e li sconfisse accecandoli grazie alla luce del sole riflessa sul suo scudo lucidato a specchio. Lo lucidava in ogni momento di pausa e a tutti coloro che gli chiedessero il perché lui rispondeva con: “un giorno lo saprete”. Da quel momento in poi non glielo chiese più nessuno, anche perché qualora qualche sventurato si fosse arrischiato a domandarglielo, si sarebbe dovuto sorbire l’interminabile racconto di come lui avesse astutamente e furtivamente studiato la tecnica dello “Scudo della Fede” e su come poi la avesse utilizzata in battaglia. Più oltre vi era Deker delle terre selvagge, così esperto di vita nei boschi da far pensare di aver svolto anche l’addestramento da Ranger. Per ultima c’era Mona, la prima paladina donna di Mallord. La chiamavano “Mona la Stella di Mallord”, poiché la sua bellezza era quasi paragonabile a quella di un’elfa. Questo soprannome lei lo odiava: preferiva “Mona la schiaccia-orchi”. La sua bellezza misteriosamente scompariva quando combatteva o parlava di orchi e appariva piuttosto come Grimes quando era sotto l’effetto della birra nanica.
Non è venuta, meglio così.
L’anziano paladino smise di parlare con il suo vice e si rivolse a entrambi:
«Sir Raynolds e Sir Kanalagon fate buon viaggio, che la luce dei fulmini vi illumini e che il tuono annunci ai vostri nemici che non avrete pietà con nessun servitore delle tenebre!»
«Grazie Ernest»
«Grazie Sir Gary!»
Il capo del paladinato si rivolse poi a lui:
«Sir Kanalagon, vi ricordo che, anche se viaggerete come paladino errante, per noi sarete sempre il benvenuto qui, come membro del paladinato di Mallord. Ma qualora doveste trovare la vostra “cerca” non tornate prima di averla portata a termine.»
«Sarà fatto!» rispose chinando leggermente il capo in segno di rispetto.
L’anziano continuò:
«Avrò cura di far scrivere al mio allievo John sugli annali del paladinato il giorno della vostra partenza e attenderò di far scrivere quello del vostro ritorno.»
Kanalagon alzò la testa e, con sguardo fiero disse:
«Sir Gary, io ho solo il nome che mia madre mi ha lasciato: non ho un nome di famiglia, né ho ancora ottenuto il mio nome di battaglia e non conoscendo le mie origini non ho neanche il nome del mio villaggio di nascita. Se tornerò vi darò il nome del villaggio. Se non tornerò avrete il mio nome di battaglia.»
Sir Gary diede un colpo sul sedere a entrambi i cavalli dei suoi paladini e li guardò allontanarsi nell’oscurità. Il gesto improvviso aveva colto impreparato sia Raynolds che Kanalgon, ma il primo aveva qualche anno di esperienza in battaglia e recuperò quasi subito la sua compostezza, il secondo per poco non cadde rovinosamente dalla sella. Anche Sir Ernest Gary non era bravo con gli addii, ma in fondo nessuno mai lo è.
Quando Sir Gary tornò nell’edificio principale incrociò Maeva che lo fissò con il suo solito sguardo inquisitore.
«Scommetto che non avete neanche provato a fermarlo.»
«Perché avrei dovuto?»
«Perché ho visto la faccia che avete fatto quando Sir Williams vi ha riportato delle notizie dall’Ovest. E mi ricordo che eravate contrariato quando Kanalagon si è messo ad ascoltare. Non volevate neanche voi che si avviasse ad approfondire le ricerche. Avreste potuto fermarlo. Ne avevate autorità.»
«No, Maeva. Non ne avevo. Siamo liberi, anche se abbiamo un ordine marziale da seguire. E comunque non dovete preoccuparvi. Kano è ben addestrato al viaggio. Farà ritorno…»
«E se così non fosse? Non avreste un rimorso di coscenza? Lui dice di aver trovato finalmente una flebile luce di candela da seguire, ma io…»
«Non c’è nessuna candela dove sta andando Kanalagon, mia cara. Lì troverà solo un lucignolo spento.»