2. The Flame

Dolore

Tante miglia sulla sella non possono dare altro che dolore. Soprattutto a Kanalagon, paladino errante con tanto addestramento ma senza vere e proprie missioni alle spalle. I brevi viaggi intorno a Mallord, sede del paladinato, gli avevano insegnato cosa fare e come comportarsi, ma ora era ben altra storia. Il viaggio era lungo e con cinque tappe in città e villaggi diversi. Le prime quattro le aveva percorse a fianco di Sir Reynolds: erano andati da Mallord a Karakon, poi a Daroking, la capitale, ad Agron e infine a Tor Hill. Cinque giorni a cavallo, alcune notti sotto le stelle, con i turni di guardia e con goblin, orchi e lupi a rendere il sonno insufficiente. A Tor Hill, Sir Raynolds si era separato da Kanalagon. Erano passati dalla chiesa del Dio del Castigo, per ottenere delle pozioni curative per proseguire il viaggio e il paladino anziano si era offerto di pagare per il più giovane come gesto di commiato: non ci sarebbero più stati la sua spada e il suo scudo durante i due giorni rimasti per giungere a Faenord, ma solo le sue pozioni curative e la guida del Giustissimo, il Dio del Fulmine. La sosta a Tor Hill aveva anche acceso la fiamma della speranza in Kanalagon a cui sembrò che effettivamente il viaggio stesse andando nella giusta direzione. Infatti, nella chiesa, gli avevano detto che un sacerdote era partito qualche giorno prima per andare a indagare nelle vallate a est di Faenord, ultima grande città dell’ovest, dove si diceva che i morti si rialzassero dalle proprie tombe, vestiti dei propri sudari, e vagabondassero per le terre, terrorizzando e uccidendo i contadini locali. Questa notizia era la stessa che aveva riportato Sir Williams e che si andava ad aggiungere alle storie ascoltate da Sir Cook, secondo cui dietro questa improvvisa e repentina minaccia di non-morti c’era un’organizzazione nota come Occhio Rosso. Nel paladinato avevano preso queste storie come nient’altro che una leggenda bardica messa in giro da qualche mezz’uomo che, per farsi pagare alle locande un pasto caldo, aveva usato il problema dei non-morti della regione Faenordiana mischiandolo ad uno dei nomi più misteriosi degli ultimi cento anni. A questo “Occhio Rosso” infatti, venivano imputati inizialmente tutti gli eventi negativi accaduti più o meno ovunque dall’inizio del secolo, salvo poi scoprire che le cause erano altre. Era circa un ventennio che non si sentiva più quel nome ed era rimasto ormai solo nei canti dei bardi, nei racconti degli avventurieri veterani e nella mente di Kanalagon. La madre, elfa, lo aveva abbandonato morente alle porte di Mallord pronunciando solo quel nome. David Pike, suo compagno di apprendistato da paladino, aveva diffuso la voce che la storia dell’orfanello abbandonato e della madre morente era un espediente creato da Sir Ernest Gary, capo del paladinato, per motivare Kanalagon, e che fosse la medesima storia raccontata a tutti i bambini orfani arrivati da così piccoli. Kanalagon aveva sentito la voce di David, ma non l’aveva ascoltata perché David era poco attendibile, tant’è che poi non aveva terminato l’addestramento ed era fuggito, forse diventando un bardo o un ladro, o anche entrambi. In quel momento tutto ciò non aveva alcuna importanza; era l’imbrunire del secondo giorno del suo cammino in solitaria e il sentiero tortuoso si inerpicava sulla collina, anche se dopo tante miglia sembrava una montagna più che una collina. Tutta la fortuna avuta nel non incontrare nessuno da Tor Hill a Faenord aveva un piccolo dazio: era piovuto per due giorni di fila. In primavera e in inverno era sempre così nella regione dell’ovest. Il freddo e la pioggia si erano infilate nelle ossa. I venti provenienti dal mare e dal regno di Kalgaard ancora più a ovest erano mitigati ma pur sempre ostili e gelidi. L’unica cosa necessaria era una locanda e un focolare. Faenord era solo una piccola cittadina ma aveva molti posti per avventurieri e viaggiatori. La più grande collezione di libri e tomi era famosa ovunque, anche fuori dal Reame di Daroland, ma soprattutto la città era un crocevia di scambio di oggetti magici tra maghi e stregoni. Soprattutto quest’ultimi, malvisti ovunque per la loro imprevedibilità e mal compreso estro creativo ed esotico, qui a Faenord erano soliti fare almeno un paio di visite l’anno. Di sera c’era molta vita in città, anche se le porte venivano chiuse e presidiate. Quando Kanalagon arrivò all’entrata nord, i portoni in legno erano stati chiusi da poco. La fortificazione della città era solo su tre lati. Il lato est dava a strapiombo sulla vallata su una parete rocciosa e per questo fortificato in legno di tronchi di pioppo, con altezza di quattro metri e mezzo circa. Gli altri due lati, nord e sud, erano invece stati protetti con mura di pietra. Su queste mura si aprivano le porte della città. La porta nord era la principale, le mura erano alte sei metri, con due torrioni ai lati. Permettevano anche di far camminare le guardie lungo il muro di cinta per una dozzina di metri circa ambo i lati del portone. La porta sud invece aveva una sola torretta di guardia ed era più piccola. Era stata edificata protetta per scrupolo ma la via a sud dava sul passo nelle montagne fino alla città di Vigo al di là della catena montuosa. Il passo era stretto e difficilmente un esercito avrebbe mai pensato di attaccare Faenord da sud. Il lato ovest era naturalmente protetto dalla catena montuosa. All’arrivo del paladino la pioggia si fece più intensa. Qualche tuono in lontananza si faceva sentire preannunciando un acquazzone che prometteva di trasformare i vicoli in torrenti.

È lui, mi sta benedicendo..

Una voce dall’alto lo scosse dai suoi pensieri:

«Fermo, avventuriero, le porte sono chiuse. Dicci chi sei e perché arrivi a Faenord dopo il tramonto.»

Un lampo illuminò il cielo.

«Sono un paladino. Viaggio da giorni, arrivo da Tor Hill e prima ancora da Daroking, la capitale del Regno. Cerco riparo e un focolare per la notte. Sono zuppo.»

«Togli il cappuccio fratello. Non è che non mi fidi, è che dobbiamo vederti in faccia» – un tuono scosse la notte, la guardia rabbrividì e aggiunse al compagno che gli stava accanto – «Dannazione, con queste storie di morti che camminano e questo temporale, stasera mi sarei fatto sostituire da Bromor testa di legno per il turno di guardia. A questo qui non apro proprio.»

Il paladino abbassò il cappuccio e la seconda guardia fece alla prima:

«Diavolo Kyut, sei un cagasotto! Guardalo: è un mezz’elfo. Coi non-morti nella zona è normale che un paladino errante venga a ripulire, magari è qui per le missioni di disinfestazione. Vai giù e apri!»

«Vai giù tu, visto che sei così sicuro, io di qui non mi muovo.»

«… ok gli faccio qualche domanda in più.», la pioggia intanto aumentò d’intensità «Non sei mica un non-morto mascherato da paladino?»

Kanalagon stava lentamente perdendo la pazienza:

«NON TI SENTO DA QUAGGIU’! ALZA LA VOCE!»

La prima guardia rise nervosamente:

«Sei un coglione Merl, che cosa pensavi che ti rispondesse? Sì, sono un cattivone, aprimi che ti uccido? Meno male che non ti ha sentito, altrimenti saremmo passati come le peggiori guardie del reame e ci avrebbero fatto una canzone i bardi: “Kyut e Merl gli imbecilli di Faenord”!»

«Allora fagliela tu la domanda intelligente!»

Kyut si rivolse quindi al paladino:

«HAI PAURA DELLA TEMPESTA, PALADINO?»

E Kanalagon urlò in risposta:

«NON POSSO AVERE PAURA DELLA TEMPESTA, KYUT! IL MIO DIO IMBRACCIA UN FULMINE, PER CUI NESSUN FULMINE PUO’ COLPIRMI E NON POSSO AMMALARMI PER LA PIOGGIA. MA DI GRAZIA APRITEMI, COSI’ CHE IO POSSA ENTRARE E ANDARE A RIPOSARE IN UNA LOCANDA!»

«A me sembra un vero paladino, vado ad avvertire il superiore. La responsabilità comunque non me la prendo… »

Kyut scese le scale nel modo più celere che la sua stazza corpulenta e la sua scarsa agilità potessero permettergli. Era una guardia, mica un ladro acrobata! Hyougi, il superiore era al riparo nella piccola stanza subito dietro la porta. Lo guardò arrivare e, snervato dall’essere interrotto durante il suo solitario con le carte, guardò la guardia semplice con ostilità: «Cosa c’è ora Kyut?»

«C’è uno che dice di essere un paladino alla porta»

Il superiore in comando si alzò con risentimento verso il nuovo visitatore. La responsabilità di farlo entrare o meno sarebbe ricaduta su di lui e di rimando qualsiasi disordine avrebbe potenzialmente potuto creare. Quindi era già dell’idea che l’avrebbe lasciato fuori a dormire a ridosso della porta. L’indomani avrebbe potuto varcare la soglia di Faenord a la sua responsabilità sarebbe ricaduta su altri. Arrivò alla porta cittadina affiancato da Kyut che imbracciava già spada e scudo, quindi tirò su la palanca in legno di pioppo dalle staffe ad “L” poste dietro, gli sfuggì la presa del legno reso viscido dalla pioggia e si pestò un dito. Con un’imprecazione la tirò su di nuovo, ma la fiaccola accesa con la pece cadde in una pozzanghera e si spense. Dall’altro lato Kanalagon era intanto sceso dal cavallo che teneva per le briglie e al suono del legno rimosso spinse il portone verso l’interno e urtò contro la guardia semplice che si era chinata per raccogliere la torcia.

«Hai paura Kyut?» gli chiese, con il cappuccio tirato di nuovo sulla testa, e nessuna luce ad illuminarne il viso. La guardia a terra con la mano si toccò la parte della testa colpita dalla porta e balbettò:

«ss.… ss..sì»

«Non ne hai abbastanza! Se quello che dite voi e che ho sentito è vero, ciò che è fuori da questa porta non ti tenderà la mano per aiutarti ad alzarti»

Hyougi fece spuntare la lama da dietro la porta e la puntò al collo del mezzelfo mentre quest’ultimo prendeva la guardia per il braccio alzato.

«Fai un movimento inconsulto e ti taglio la gola»

Il paladino mise Kyut gentilmente in piedi. Pose una mano sulla sua testa e una luminescenza azzurro-dorata chiuse il piccolo taglio inferto dalla porta. Kyut si rilassò alla sensazione di calore e benessere che provava.

«Ho incontrato uno dei tuoi il mese scorso. Si chiamava Cook. E’ del tuo paladinato?» chiese il superiore in comando tenendo sempre la lama puntata contro lui.

«Sì, Sir Cook è dei miei. Sta bene, gli porterò i tuoi ossequi» Kanalagon si mostrò calmo e rilassato, deciso a non irritare la guardia già sul piede di guerra.

«Certo. E porta anche i miei saluti a Williams e Gerald» ribatté lui senza alcuna intenzione di abbassare l’arma.

«Ti saluterò con piacere anche Sir Williams ma Gerald non so chi sia. Non fa parte del mio paladinato» rispose con un sorriso rassicurante il paladino.

«Non puoi conoscerlo perché l’ho inventato. Se sei un compagno di Cook e Williams puoi passare paladino, li ho conosciuti personalmente. Mi prendo io la responsabilità di farti entrare. Vieni con me che registro il tuo nome e dovrai dirmi anche dove alloggi» chiosò la guardia rinfoderando la lama nella cinta del compagno.

Sorridendo, Kanalagon fece passare il cavallo attraverso il portone e ne lasciò a Kyut la chiusura. Lo salutò con un cenno della testa mentre lui lo guardava perplesso.

Ehi, ma quando è che gli ho detto il mio nome?

I mezz’elfi hanno un buon udito anche sotto la pioggia.

Dopo aver adempiuto alle richieste di informazioni e aver scambiato due chiacchiere con Hyougi si avviò alla ricerca della locanda. A Tor Hill i sacerdoti del castigo gli avevano raccomandato “Vietato Incantare”: un buon posto gestito da un arcanista mancato, che con il nome del locale puntava a sbeffeggiare altri suoi colleghi, i quali solitamente affiggevano il divieto di incanto dietro al bancone per ammonire gli incantatori a non charmare per evitare di pagare. Ovviamente il divieto non sortiva alcun effetto e chi voleva farlo non si faceva di certo inibire da così poco, ma di solito c’era sempre qualche paladino o qualche mago di buon cuore che se ne accorgeva e interveniva, quindi i locandieri erano per lo meno tutelati da questo. Seguendo le indicazioni dei sacerdoti cercò la locanda nei vicoli che si diramavano dal corso principale prima della piazza centrale. Le case erano tutte a due piani e avevano i tetti spioventi perché d’inverno inoltrato a quelle quote nevicava sempre. Sui muri tutti bianchi spiccavano le finestre di legno molto scuro trattato con resina antigelo, e dai vetri completamente appannati fuoriuscivano le luci dei focolari, le risa dei bambini, i richiami delle mamme, il profumo delle cene già in parte consumate e tutto ciò che lui, in quanto orfano, non aveva mai potuto vivere in prima persona. Non aveva ancora incontrato nessuno per le vie a causa dell’acquazzone ma poi da sinistra, ad un tratto, sbucò un individuo alto e slanciato avvolto in un mantello grigio scuro, che sembrava resistente alla pioggia. La chiusura della porta alle sue spalle fu accompagnata dal suono di una campanella posta in alto, accanto a un’insegna: Vietato Incantare.

Trovata.

Dischiuse la porta ma si soffermò a leggere una pergamena affissa su di essa:

“Questa sera: Maeglin, la barda elfa! Canzoni e una pinta di birra per un solo pezzo d’argento!”.

Poi il suono della campanella accompagnò la sua entrata. La locanda era lunga una quindicina di metri e larga poco più di tre e una piccola anticamera con due porte permetteva di tenere l’ambiente più riparato dal freddo esterno che altrimenti, a causa del continuo andirivieni dei viandanti, sarebbe facilmente penetrato all’interno. A destra e sinistra dell’entrata erano poste due piccole rientranze dove erano appesi alcuni mantelli bagnati e una rastrelliera dove posare le armi. Non ve ne erano molte rispetto al numero di avventori: circa venti individui occupavano tutti i tavoli disponibili e due elfi, un maschio e una femmina, si esibivano su un minuscolo palco al centro della sala sul lato sinistro, proprio di fronte al camino che scoppiettava allegro e invitante sul lato destro. I tavoli erano posizionati per lo più ai lati del camino ed erano occupati principalmente da maschi umani, fatta eccezione per un mezzelfo, un nano e una donna. In fondo sulla sinistra, dopo il palco, c’era il bancone dell’oste. Una voce lo raggiunse da dietro:

«Messere, devo chiedervi la vostra arma: la riporrò nella rastrelliera e ve la restituirò all’uscita!»

Concentrati e trova il male!

Si girò: un ragazzo adolescente un po’ grassottello ed eccessivamente alto tendeva le braccia verso il paladino.

«Non stai mentendo ragazzo, lo sento, ma se qualcuno tentasse di sottrartela?»

«No messere, nessuno ve la prenderà dalla rastrelliera, ci sono qua io per questo! Purtroppo, non può tenerla con sé, regole del locale…»

«Beh, le regole vanno rispettate. Se tentano di prenderla comunque non metterti a fare l’eroe, è solo un vecchio spadone.»

Si sfilò la spada con tutto il fodero dalla spalla destra e la porse al ragazzo, per poi dirigersi verso l’oste in fondo alla sala. La musica era allegra e le parole nella lingua comune, non in elfico, per cui il pubblico batteva ritmicamente le mani e qualcuno cantava il ritornello. Tra questi c’era l’oste, che seguiva l’esibizione con trasporto, mentre due suoi aiutanti spillavano birra dalle botti dietro al bancone. Era un tipo un po’ corpulento con una dentatura pressoché perfetta che sfoggiava in un sorriso largo sul viso barbuto. I capelli erano neri, come la barba, ricciuti e raccolti con una coda. Al sopraggiungere del paladino diede un benvenuto distratto:

«Buonasera, avventuriero, un pezzo d’argento per una birra: ti siedi vicino al fuoco, ti asciughi e ascolti la nostra famosa Maeglin. Lascia pure la moneta sul bancone, come si libera Mathias te lo mando al tavolo a portarti la birra e se hai fame potrai ordinargli qualcosa da mangiare. Costo extra, naturalmente.»

«Ok, ma il tavolo vicino al camino è occupato. Io vorrei una stanza, ne hai una libera per un paio di giorni?»

«Balzaaa, balzaaaa il mezz’uomo nel fuocooo… guarda, al tavolo vicino al camino c’è uno stregone da solo, puoi sederti con lui. È un tipo a posto a cui piace chiacchierare, sono sicuro che lo troverai piacevole. Per la stanza mando Rowena a dare una pulita e tra quindici minuti puoi salire. Un pezzo d’oro per due giorni, inclusa colazione e cena; bevande a parte ma ti includo la pinta di stasera e un po’ di formaggi stagionati di nostra produzione, ti va bene?»

«Va bene oste, eccoti il pezzo d’oro.»

Si girò e andò a sedersi al tavolo indicatogli. Era proprio di fronte al palco, per cui, visto il fracasso provocato durante l’ultima canzone, qualsiasi tentativo di dialogo sarebbe stato vano, fortunatamente: il viaggio lo aveva sfinito e non era propenso a farsi trascinare in una conversazione su chissà quale oggetto meraviglioso, custodito in chissà quale antro oscuro, in chissà quale remoto luogo del mondo. O per lo meno così era stata la conversazione con l’unico stregone con cui avesse mai parlato e il ricordo tedioso lo indispose ancor prima che il suo fondoschiena potesse poggiare sulla sedia:

«Scusate, posso?»

Lo stregone mezzelfo aveva degli stivali molto alti, fino quasi al ginocchio; di pelle marrone erano sia i pantaloni attillati che la strana camicia che si allungava dietro come fosse un mantello e aveva un bavero alto ricoperto da una pelliccia grigia. Due bottoni argentati chiudevano sull’addome la camicia-mantello e un cappuccio scuro, su cui erano ricamate delle parole in chissà quale lingua, era raccolto dentro al bavero. Probabilmente il vestito era magico. Ma la cosa bizzarra che risaltava più di tutte erano i suoi capelli argentati e le sue iridi verdi smeraldo. Questi rispose senza neanche distogliere lo sguardo dalla cantante:

«Certo Sir, sedetevi pure ad asciugarvi: ora ravvivo un po’ le fiamme così potrete scaldarvi prima»

E così dicendo allungò la mano dietro di sé fino ad infilarla nel camino e sussurrando qualche parola produsse dalle sue dita aperte un ventaglio di fiamme che aumentò l’intensità del fuoco istantaneamente.

«Così dovrebbe andar meglio!» asserì.

«Mi presento: sono Kanalagon, paladino errante di Mallord»

«Piacere di fare la vostra conoscenza Sir, io sono Turgul Rauko, chiamato anche la Fiamma, e vi stavo aspettando…»

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