Impossibile
La faccia del paladino era tra l’incredula e l’adirata. Che fosse stato seguito? Lo stregone era già qui. Accadeva troppo in fretta. Era troppo lineare per essere reale. In quel momento a Kanalagon sembrava di vedere dall’esterno quello che accadeva in prima persona. Intorno a sé tutto appariva irrazionale e rallentato. L’aria, l’atmosfera, la musica e le voci all’improvviso avevano un retrogusto onirico. Chiuse gli occhi per concentrarsi e riprendere lucidità. Cosa era quella sensazione? Che fosse stato il bardo? Maeglin era il suo nome, l’aveva letto all’entrata. Era un’elfa. Capelli biondo intenso, una piccola treccia al lato, un diadema sulla fronte. I suoi occhi azzurri e affilati le davano uno sguardo sensuale ma molto astuto, vestiva di verde, con dei calzari alti fino a metà coscia e dei pantaloni verdi. Sopra, la sua veste arrivava a metà coscia, stringendosi in vita e aprendosi sui fianchi sembrando quasi una gonna troppo corta. Sulle spalle la camicia faceva delle pieghe che erano fatte di cuoio marrone. Suonava il flauto traverso. Sapeva che i musici hanno la capacità arcana di manipolare i sensi e la mente ma tutti ascoltavano lo stesso suono. Non era possibile. Forse era solo la stanchezza mista allo stupore. Respirò a fondo, riprese freddezza e si guardò di nuovo bene attorno. Il suono del flauto traverso era accompagnato dal liuto. Sul pavimento gli stivali degli ascoltatori battevano il ritmo della ballata. Qualcuno accompagnava con le mani. Rowena e Mathias, gli inservienti della locanda, passavano tra gli angusti spazi fra i tavoli portando in alto i vassoi carichi di pinte di birra e formaggi stagionati. Il clima era sereno e goliardico. Della ventina di persone presenti nella piccola sala della locanda, almeno la metà erano alticce, l’altra metà lo stava per diventare presto. Una piccola nuvola di erba da pipa fluttuava a metà altezza e offuscava leggermente la visuale illuminata dalle candele ai tavoli e dai candelieri ai muri. La ballata aveva raggiunto il climax atteso da tutti e che tutti avevano già ascoltato. Le voci divennero un unico coro, qualcuno era fuori tempo o un tono sopra o sotto, ma il trasporto era lo stesso. Un canto di un famoso bardo del nord, in una taverna dell’ovest cantata da avventurieri del sud e dell’est.
Cantami oh scaldo dell’ira funesta,
dei sacri guerrieri del gelido nord,
i morti in battaglia già brindano in festa,
al sacro banchetto di K’ørd,
fiero e lucente l’acciaio nel braccio,
a mille ne mieterà,
fende da render rovente anche il ghiaccio, scintille nel suo cozzar,
forte nel cuore rimani o guerriero, non devi mai indietreggiar,
corre il furore come il tuo destriero, non lo vedranno arrivar!
Cantami oh Scaldo dei picchi innevati,
candidi come la mia bella dama,
di chi di rosso col sangue li ha macchiati,
mai svanirà la sua fama…
Si volse allora verso lo stregone
«Stavate aspettando… me?»
«Beh, aspettavo un paladino e siete piombato qui durante un temporale, è il destino. Non credete? Ma vi spiegherò dopo che vi sarete rifocillato e asciugato. Arriva la vostra birra, vi piace quella di frumento? Brinderemo al nostro incontro. Tra l’altro mi piace la musica di Maeglin, questa canzone è stata scritta da un famoso bardo del nord, Hemmanuel Sgroth, lo conoscete? Adesso che ha scaldato un po’ la taverna con le ballate e le marcette in lingua comune ci canterà qualcosa in elfico. E io non voglio perdermelo. Conoscete l’elfico? Siete mezz’elfo come me! A me lo hanno insegnato i miei genitori. Forse vi sto assillando troppo con le mie domande?»
L’inserviente di nome Rowen arrivò con quanto comandato dall’oste. Era una ragazza magra, con i capelli castano chiaro tendenti al biondo, qualche lentiggine sulle gote, una maglia bianca di lana un po’ scollata e una gonna lunga marrone fino alle caviglie. La ragazza posando il vassoio si piegò in avanti. Lo stregone sbirciò nella scollatura il più possibile senza nascondersi troppo, mentre il paladino, con atteggiamento pudico e imbarazzato, girava la testa fissando il camino. Afferrò il suo boccale capendo solo in quel momento che effettivamente era assetato e affamato. In quell’istante la voce del coro cessò di cantare all’unisono, ammutolendo, niente ritmo, niente strumenti, solo la voce di Maeglin si sentiva.
Scaldo viandante che passi tra i monti,
fermati ad ascoltar,
il vento sussurra la voce dei morti,
cantala per ricordar!
Nessuno parlava più. Le strofe avevano colto una paura latente che tutti nella locanda avevano covato ma che nascondevano nel clima caldo e festoso del posto. La stessa cantante elfica si era fermata a guardarsi intorno cercando di capire cosa fosse successo, il perché del repentino cambio di umore e intuì. Si girò con lo sguardo dietro di essa, verso il secondo membro del gruppo che teneva il liuto in mano. Era nella penombra. Fino a quel momento Kanalagon non l’aveva notato, l’aveva visto certo, ma la coscienza della sua presenza veniva meno ogni volta che si distoglieva lo sguardo dalla sua figura. Il suo abbigliamento non era da bardo come l’elfa davanti a lui. Vestiva dei calzari in cuoio e pelliccia. La pelle con cui erano fatti non sembrava affatto della classica natura del cuoio lavorato. Così come la pelliccia che usciva dall’interno e si ripiegava attorno al polpaccio. Aveva delle protezioni a lato delle cosce e sulle ginocchia in cuoio borchiato e una camicia marrone di ottima fattura, con dei ricami più scuri che ricordavano degli alberi nodosi senza foglie. I capelli biondi lunghi e lisci adornavano un viso lungo e pallido, coprendo le orecchie. Vestiva ancora il mantello nonostante fosse all’interno, con il cappuccio alzato sulla testa. Sulle spalle due pellicce come ornamento. Dalle mani e dal taglio degli occhi si capiva che fosse elfo anche se le sue orecchie non erano visibili. La mano sinistra era adornata da un bracciale fatto con denti di differenti creature. Mentre il paladino era concentrato nell’analisi dell’elfo con il liuto, l’oste ruppe il silenzio.
«Su gente, al Vietato Incantare non c’è mai silenzio, brindate e non pensate ai problemi fuori dalle mura, per i morti fuori è venuto uno specialista dal sud, lo stregone Turgul! È lì, davanti al focolare, un brindisi a Turgul che da domani ci libererà i campi da quelle orrende creature contro natura! Turgul! Turgul! Turgul!» L’elfo compagno della cantante girò il liuto e dettò il ritmo con la grancassa dello strumento, in quell’istante tutti nella taverna urlavano a gran voce il nome dello stregone che con un sorriso enorme stampato sul viso si alzò dalla sedia, si guardò intorno compiaciuto per qualche secondo e poi alzò entrambe le braccia per fermare il coro in suo nome. Le voci si acquietarono. «Amici avventurieri, musicisti, ubriaconi, gentildonne, osti e camerieri…. Ho parlato proprio oggi col governatore e sapete cosa? Ha richiesto ad un gruppo di valide e coraggiose persone di occuparsi del pericoloso problema che si è alzato nella valle e come ha detto il nostro amato oste Reek, ho già accettato la richiesta del governatore e sono riuscito a raggruppare già quattro elementi per il gruppo di pulizia e, selezionato l’ultimo membro, andremo immediatamente a rimuovere il problema alla radice. Saprete quando avrò finito quando sentirete odore di bruciato…» detto questo alzò l’avambraccio facendolo passare davanti al volto e riprodusse nuovamente il ventaglio di fiamme che utilizzò per rinvigorire le fiamme nel camino. Si alzò un “oooh” in tutto il locale, seguito da un “olè” di un uomo corpulento venuto dal nord e un “brucia tutto Turgul” urlato dall’inserviente Mathias. Cogliendo l’attimo Maeglin intonò alcune note con il flauto e il suo compagno elfo la seguì con lo strumento a corda. Il caotico chiacchiericcio della sala e il clima festoso tornarono alla vita e tutti avevano già dimenticato i cupi problemi dell’esterno. Lo stregone si sedette di nuovo guardando il paladino con un sorriso compiaciuto.
«Sarei io l’ultimo membro che state selezionando per il vostro gruppo di pulizie, Messer Turgul?»
«Nooo cosa dite? Voi siete il primo membro che ho scelto. Credo che la barda elfa e il suo compagno siano ideali da aggiungere, voi non siete concorde con me? Qualcuno deve pur cantare le gesta eroiche in più credo che il suo compagno sia un guerriero dei boschi, il vostro occhio che dice? Magari è un ranger? È troppo bardato per essere un arcanista…»
«State dando per assodato che io abbia già accettato. Cosa ve lo fa pensare?»
«Cosa?!? Siete un paladino! La vostra missione è portare la voce del Giustissimo ovunque e combattere i non morti! Ora, ci sono dei non morti nei campi che uccidono degli innocenti coltivatori? Ci sono! Può un servo del Dio del fulmine rifiutarsi di accogliere una richiesta di supporto da uno stregone dagli onorevoli intenti? Ma non c’è bisogno che mi rispondiate ora, godiamoci la serata, io alloggio qui, credo anche voi giusto? Quindi possiamo parlare quando la serata finirà. Devo proporre la cosa anche ai due elfi musicisti. Sono sicuro che ci supporteranno. Con un chierico in aggiunta siamo al completo»
Kanalagon non aggiunse nulla. Si soffermò solo a riflettere sulla rapidità degli eventi e sul suo viaggio. Finì rapidamente il suo pasto e bevve la sua birra. Pensò al motivo del suo arrivo e agli incontri fatti fino a quella taverna. Tutto sembrava guidarlo e condurlo agilmente verso la strada che aveva deciso, sembrava il destino. Ma odiava il destino. Che fosse il suo Dio a condurlo per quella strada? Era troppo semplice. Le strade scelte dal Dio della giustizia erano difficili, piene di pericoli e trappole per mettere alla prova l’adepto e renderlo forte. Mai una strada facile. E questa lo sembrava, oppure era una trappola e per saperlo avrebbe dovuto percorrerla. Il paladino non disse nulla per il resto della serata. Ad intervalli regolari Turgul sciolinava la solita decina di domande a raffica per poi fermarsi ad ascoltare la musica bardica senza proferire parola.
Stanchezza
Era passata circa un’ora, Kanalagon decise di dirigersi in stanza, in fondo si era asciugato abbastanza vicino al focolare e ora aveva bisogno di sdraiarsi. Dopo ore seduto sulla sella del cavallo rimanere seduto sulla sedia di una locanda non avrebbe rinvigorito le forze. Si congedò con poche parole dallo stregone, il quale fece una faccia gravemente delusa per un secondo dopodiché, facendo spallucce, tornò di buon umore. Andò verso il bancone per parlare con l’oste Reek, che era visibilmente su di giri a causa della birra, quest’ultimo non lo curò eccessivamente di attenzione ma comprese le parole “…stanza…arma…rastrelliera…” sufficienti per mandare Mathias a mostrargli la stanza disponibile, portargli una brocca d’acqua e un catino, e mandare Rowena a dire al rastrellista alla porta di portare l’arma dal paladino. Salirono al secondo piano. La stanza era molto angusta ma pulita. Lunga quattro metri e larga due. Un armadio senza ante a sinistra subito dopo una brandina che terminava sotto la finestra e di fianco al letto, sul lato destro del muro, un piccolo tavolino con uno sgabello a tre piedi molto datato. Mathias entrò e poso sul tavolino la brocca, il catino e accese la candela sul tavolo. Le coperte erano piegate sulla brandina. Mentre l’inserviente usciva, arrivò il ragazzo della rastrelliera con lo spadone e un sorriso larghissimo pregustando un pezzo di rame come mancia. Ma le finanze di Kanalagon non erano così ben fornite da permettersi una mancia, diede una pacca sulla spalla al ragazzo e si promise di ricordarsi di trovare qualcosa da dare al ragazzo dopo essere ritornato dalla valle. Chiuse la porta e si fermò a pensare che inconsciamente aveva già pensato al “dopo”, considerando già cosa fatta l’alleanza con lo stregone per occuparsi del problema di morti viventi. Fu il suo istinto a scegliere. Il suo istinto aveva sempre fatto schifo. Tutte le persone che a prima vista non gli erano parse affidabili si erano rivelate pilastri nella sua vita. Anche se il suo istinto faceva schifo una volta che aveva scelto non poteva fare altrimenti. Con l’animo più leggero si tolse gli stivali e il giaco di maglia, con non poca difficoltà, e vide i segni dell’armatura sul suo corpo. Aveva dormito sempre con il giaco vestito, la cosa non era buona e se ne accorse solo ora che sarebbe stato meglio seguire i buoni consigli dati da Sir Reynolds lungo il viaggio. “Mai dormire con il giaco di maglia per due notti consecutive se non è a rischio la tua vita!”. Ora lo sapeva. Dove aveva i segni delle cinghie si sentiva come dopo l’addestramento con la spada al paladinato e non aveva neanche combattuto fin dalla separazione col suo superiore. L’ultimo buon consiglio che egli gli disse fu di dormire in locanda con un occhio aperto come se fosse stato all’esterno. Mise allora lo sgabello attaccato alla porta e il catino sopra di esso con parte fuori dal sedile, chiunque avesse socchiuso la porta l’avrebbe fatto cadere procurando rumore. Per la finestra invece non fece nulla. Era al secondo piano e fuori non c’erano né alberi, né appigli sul muro per arrampicarsi. Non c’erano motivi per cui dovesse essere attaccato durante la notte, né aveva abbastanza denaro con sé da essere derubato, ma un ipotetico ladro questa informazione non l’avrebbe certo saputa. Meglio abituarsi a farlo da subito e ovunque. Si sdraiò sul letto e si coprì con le coperte. L’odore di muffa era forte ma comunque facevano il loro dovere, riscaldavano. Si addormentò quasi subito con in mente il comando “attento ai rumori e pronto ad agire”. Ma la stanchezza indusse un sonno profondo con sogni intensi. Vide se stesso uscire da un focolare gigante con il suo fido cavallo Pelo e camminare su una vallata di erba bruciata, arrivare di nuovo a Faenord che era in fiamme. A ridosso della città trovò Turgul, la sua nuova conoscenza, che affermava soddisfatto di aver incendiato tutto per fare pulizia. Successivamente vide l’oste Reek di taglia colossale, alto come un torrione di castello, camminare a lunghe falcate e oltrepassare le montagne a ovest senza degnarlo di uno sguardo portando in spalla la sua locanda “Vietato incantare” canticchiando il canto del nord sui morti che vanno onorati. Poi apparve il suo superiore Sir Raynolds a togliergli la spada con l’accusa di non sapere utilizzarla al meglio e di non essere degno di svolgere il ruolo di paladino errante. Alle spalle di quest’ultimo la cantante elfica Maeglin che asseriva di scrivere la canzone del paladino inutile Kanalagon che veniva mangiato e accerchiato dai non morti e vedere quest’ultimi circondarlo immediatamente senza accorgersi della loro venuta e… tok! Tok! Un taglialegna nano con la faccia dell’compagno elfo della cantante, che abbatteva un tronco di quercia e intimava di spostarsi per non venir schiacciato dall’albero e… tok! Tok! L’albero cadeva e faceva rumore metallico, dentro l’albero c’era una lancia da cavaliere.
La porta
Aprì gli occhi. Era già passata l’alba e aveva dormito senza interruzioni.
«Paladino siete morto nel sonno? Vi attendevo ma non siete giunto…»
La porta si aprì. Il catino era già caduto a terra facendo il suono metallico percepito nel sonno. Entrò lo stregone. Forzando l’apertura spostò lo sgabello facendolo cadere.
«Una trappola per stregoni? Beh, funziona. Su! Paladino! In piedi! Avete dormito bene? Lo spero. Stivali in spalla, infila lo spadone ai piedi e vestiti lo zaino. Ho trovato l’ultimo membro. Si parte tra mezzora!»