Sfiancati
Le forze diminuivano. Era la quarta ondata di scheletri che mandavano a terra ed erano solo in tre. L’ambulacro era diventato un ossario. Il paladino aveva terminato il suo potere di imposizione delle mani, niente taumaturgia, niente cura delle ferite appena inflitte dalle armi arrugginite imbracciate dai non-morti, le cui abilità di battaglia non erano implacabili. Il loro punto di forza era nel numero e nell’instancabilità. Erano tutti manovrati e chi li gettava lungo il tunnel sapeva che sarebbero stati abbattuti. Ma tutti i combattimenti avrebbero ridotto all’osso le forze del gruppo. Agladur guardò i tagli che il paladino aveva sul viso e sul braccio destro. Kanalagon scosse la testa. Il chierico non insistette per una cura. Turgul era ancora illeso, si posizionava sempre al centro con le due direzioni del tunnel coperte dal sacerdote e dal mezz’elfo. Quando poteva aiutava con la lancia corta da dietro. Nelle situazioni di emergenza attingeva ai suoi poteri arcani. Le cariche dei nemici erano state troppo frequenti. Uno stregone ha un numero limitato di incantesimi ogni giorno. Se avessero dovuto affrontare il K’Hell Door avrebbe dovuto tenere i migliori alla fine. Zoran e Nirgul si erano diretti al cubicolo per riprendersi il proprio equipaggiamento e avevano promesso di tornare ad aiutarli. Forse qualcosa non era andato come programmato. Ma ora potevano solo proseguire. Il paladino riprese la marcia in direzione della sala grande indicata dal compagno d’armi liberato. Dopo alcuni metri di nuovo una svolta a destra. Avevano girato tante volte e imboccato spesso direzioni cieche che li avevano messi spalle al muro con una formazione di non-morti a tenerli all’angolo. Ricordarsi tutte le svolte non sarebbe stato facile. Ora più che mai visto che Rotar non era con loro. Il ranger aveva un ottimo senso dell’orientamento. Svoltarono e si trovarono di nuovo in una biforcazione. Scelsero di nuovo la svolta a destra con rammarico e disappunto di Turgul che trovava stupida l’idea di scegliere sempre una direzione. Agladur era stato inamovibile al riguardo. Lui aveva studiato l’architettura di molte chiese e la struttura di moltissime cripte e, da come avevano esplorato, stavano percorrendo degli ambulacri che si avvolgevano in senso orario e quindi la loro destinazione era sempre a destra. Anche quando lo stregone gli fece notare che alcune volte a destra c’era un vicolo cieco non aveva cambiato la sua teoria. Solo un’eccezione diceva.
«Come è possibile che siano così grandi? Perchè scavare un dedalo così articolato?» chiese Turgul.
«Il mondo è più vecchio di quello che pensi, stregone. Quello che vedi esisteva prima che edificassero la chiesa sopra di noi.» rispose saccente il sacerdote.
Varcato un arco, il tunnel era diventato più rifinito degli altri già percorsi e alla fine di esso trovarono una scala a chiocciola che scendeva verso il basso con gradini grandi e ampi. Si poteva procedere affiancati in due. Agladur si mise allora alla destra del paladino e scesero compatti verso il basso con Turgul che reggeva in alto la lancia con la pietra luminosa. Dopo una trentina di gradini si aprì un altro tunnel. Ampio abbastanza per un carro, era alto tre metri e lungo una decina, illuminato da entrambi i lati con le solite torce magiche viola. Davanti ad esso si apriva un varco senza porta, di nuovo ad arco, al di là del quale c’era un ampio spazio, come se fosse una chiesa di piccole dimensioni a navata unica. Dal fondo di quella navata, illuminata da normali candelabri in cera che emanavano una più salubre luce calda e gialla emerse, con una veste morata, un individuo alto che prese da un altare una maschera ossea e se la mise sul volto nascosto nell’ombra sotto il cappuccio.
È lui
Agladur scattò in avanti a passo deciso seguito da due compagni che rimasero dietro un paio di metri colpiti dall’avventata avanzata dell’elfo. Varcata la soglia della navata, ai lati si trovarono otto colonne che separavano altre due navate nascoste in penombra da quella principale illuminata. Il chierico avanzò centralmente mentre Kanalagon e Turgul si erano soffermati dietro a scrutare le zone nell’oscurità.
«Te lo chiederò con pacatezza una volta sola perché siamo della stessa razza, K’Hell Door, dove hai messo mio fratello gemello? Se mi rispondi ti darò un castigo equo e veloce. Altrimenti lo chiederò al tuo cadavere. Lui di certo mi risponderà»
Kanalagon percepì delle presenze dietro le colonne e Turgul vide delle ombre proiettarsi dalla luminosità della sua lancia.
«Agladur, ce ne sono ancora…»
«Sono da ambo i lati»
«Servi, attaccate i mezzosangue, lasciate l’elfo a me»
Quattro guerrieri scheletrici bardati da capo a piedi emersero da ogni navata e avanzarono il linea contro i due mezz’elfi che si spalleggiavano l’un l’altro.
«Kano ce la puoi fare contro quattro da solo?»
«Non credo, tu?»
«Io sì»
Di nuovo chiuse gli occhi chiudendo il mondo fuori da sé per attingere alla sua sorgente arcana. La vedeva con la propria mente, era al centro del suo petto come una piccolissima fiamma che ardeva di luce rossastra. La fiamma lanciò una piccola scintilla dello stesso colore che gli portò alla lingua le parole che aveva in mente dall’inizio della cripta.
« L á m h a a D h ó ! »
Un ventaglio caldo di fiamme eruppe dalle dita del mezz’elfo, tese davanti a sé, con dirompenza, estendendosi fino ad abbracciare tutti e quattro i nemici sopraggiunti da sinistra. Le fiamme divorarono la struttura ossea dei nemici come se fosse fatta di gesso, decomponendosi e disperdendosi in una polvere bianca a terra che venne coperta dalle bardature rimaste spoglie e dalle armi senza guida. Colto da rinnovato vigore per aver visto cadere metà dei nemici in un solo colpo, il paladino si lanciò con contro i suoi quattro nemici colpendo con lo scudo il primo a sinistra, rimandandolo indietro un paio di passi, per poi colpire con vigore il successivo con la spada.
Intanto davanti alla battaglia in corso i due elfi si fronteggiavano verbalmente davanti all’altare.
«Sei l’unico stupido che ancora non riesce a capire la situazione, Agladur. Sono sicuro che i tuoi compagni l’hanno già capito ma non te l’hanno detto perché il tuo carattere indisponente e altezzoso impedisce loro di farlo»
Al suono del proprio nome il chierico si irrigidì e chiuse per un istante i propri occhi con rammarico e sconforto. Lo aveva capito ma voleva negarlo.
«Non posso accettare quello che vuoi dirmi…»
«Devi. Oppure muori. Ego te inflīgo!»
Attorno alla mano del K’Hell Door un’aura densa e nera si rese visibile e tangibile come un guanto d’armi. La diresse a palmo aperto verso il sacerdote elfo, che non riuscì a schivarla. Al contatto con la protezione d’acciaio dell’avambraccio si propagò come l’acqua di un fiume in piena prima sul braccio, poi sulla spalla e sul collo, infine scendendo sul torace e salendo sul viso del nemico. Piaghe, ferite e pustole si aprirono sulla pelle insieme al viso, distorto in un urlo muto, piegato dal dolore. Agladur cadde a terra, inarcandosi all’indietro come sotto il peso di un’enorme roccia, senza aver la forza di respirare, sottomesso all’energia negativa sprigionata dal colpo.
«Non l’hai mai provata, vero… fratellino? Non hai ancora raggiunto questi poteri. Io sono un K’Hell Door ora. Padroneggio molto di più. Ma spiegartelo è noioso, lungo e inconcludente. Te ne infliggerò una più intensa, così la assaporerai, poi ti ucciderò e ti alzerò come uno dei miei servi. Allora sì che avrò cura di spiegarti…»
Agladur non aveva il coraggio di guardare gli occhi che emergevano dalla maschera ossea del nemico che lo sovrastava. Non voleva scorgere gli occhi di suo fratello alterati dal male che aveva giurato di punire. Si torse lievemente adagiandosi sul fianco mentre cercava di respirare. Alzò gli occhi per cercare dietro di sé i suoi compagni. Kanalagon stava per essere sopraffatto dagli scheletri. Lo stregone aveva appena girato lo sguardo nella sua direzione e stava per lanciare un incantesimo al K’Hell Door. Il chierico voleva impedirgli di intervenire ma aveva esaurito le forze solo girandosi.
« S a i g h e a d D r a í o c h t a ! »
Il dardo blu emesso da Turgul colpì il braccio alzato del K’Hell Door che perse l’attimo per colpire il gemello prono ai suoi piedi. Lo sguardo feroce si pose sullo stregone. Con un balzo deciso saltò oltre il gemello, incamminandosi in direzione del suo nuovo obiettivo. Lo sguardo del mezz’elfo tradiva il suo stupore. Non si aspettava una reazione così repentina al suo intervento. Si voltò al lato per reclamare supporto dal compagno ma al suo fianco Kanalagon riusciva a stento a non cadere a terra sopraffatto dai due scheletri rimasti in piedi che lo incalzavano. Non avrebbe avuto aiuto da lui. Si girò di nuovo verso l’avversario che era a pochi passi da lui.
«Non puoi avere l’ardire di ferirmi e continuare a respirare. Ti piegherò come ho fatto con mio fratello, arcanista»
«Piega questo. A i g e a d a c h S a i g h e a d ! »
L’elfo tentò un assalto cercando di bloccare i movimenti di Turgul per interromperne la concentrazione e spezzare l’incantamento prima che lo ultimasse ma con un passo indietro lo stregone si era preso la distanza giusta per far partire dalla sua mano una freccia pulsante di colore violaceo che impattò in parte contro il braccio sinistro, che si era alzato istintivamente a protezione del viso, e in parte contro la maschera ossea. La freccia al contatto con le parti colpite si tramutò in acido corrosivo che cominciò a lacerare il tessuto la pelle e l’osso. Con entrambe le mani prese la veste dalle spalle e la sfilò istantaneamente dall’alto gettandola contro il mezz’elfo davanti a lui, che la schivò facilmente. Poi staccò la maschera dal viso gettandola a terra. Rimase vestito dei soli calzari borchiati, pantaloni neri e del diadema appeso al collo con lo stemma da demonologo. Una stella a sette punte in un cerchio, forgiata in ossidiana. Il suo fisico era troppo muscoloso per essere un elfo, la pelle troppo chiara e traslucida e su di essa capillari e vene di un colore blu malsano e innaturale emergevano in rilievo come se dovessero esplodere da un momento all’altro. Il volto era identico ad Agladur, affilato con gli occhi violacei incavati in uno sguardo scuro e torvo. I capelli neri erano unti con qualche olio dall’odore acre. La determinazione sul suo viso incuteva timore. I segni provocati dalla freccia di Turgul, che ne avevano alterato i lineamenti, scarnificandogli parte della tempia e distruggendogli un orecchio ne amplificavano la presenza terrificante. Lo stregone aveva finito gli incantesimi quindi imbracciò la lancia con entrambe le mani ma non fece in tempo, la lancia gli fu bloccata dall’avversario e il polso destro bloccato nella morsa della sua presa.
«Artus Vietus!»
La muscolatura avvizzì totalmente dalla punta delle dita alla spalla, la pelle raggrinzì diventando nera e il braccio divenne inerme. Con un calcio assestato alla bocca dello stomaco il K’Hell Door lo fece cadere a terra supino e senza speranza. Poi diresse lo sguardo verso Kanalagon che, coperto di ferite, aveva appena vinto l’ultimo scheletro davanti a sé con l’ultimo alito di forza che gli rimaneva, cadendo in ginocchio a terra e lasciando la presa sull’arma e sullo scudo non avendo un briciolo di forza per tenerle ancora in mano. L’elfo sorrise beffardo guardandosi attorno e vedendo che nessuno era in grado di poterlo sfiorare nuovamente.
«Perfetto. Siete tutti moribondi ma respirate ancora. Adesso vi sacrificherò così che la vostra vita serva veramente a qualcosa. Mi servono proprio queste anime così attaccate alla vita per i miei rituali. Grazie al governatore di Faenord finirò prima il lavoro»
Con passi lenti e aggraziati si fece strada tra gli scheletri atterrati fino al corpo di Agladur che aveva ripreso a respirare con regolarità ma che giaceva ancora a terra esanime.
«Fratello, una volta morto, ricordami di mandarti a pagare il governatore. Gli ho promesso dieci pezzi d’oro ad avventuriero. Non sia mai che non mantenga il mio debito. Che figura farei?»
Poi suoni di passi dalla scalinata giunsero al suo udito sviluppato.
«Ah… mi sembrava che mancasse qualcuno all’appello… Zoran vieni pure a prendere la tua vendetta»
Dall’arco che delimitava l’inizio della navata emerse il paladino Zoran. I suoi piccoli occhi castani vibravano intensamente nell’avanzare a passo lento e misurato nella sala, mentre imbracciava una spada lunga e uno scudo grande di metallo. I capelli rossi erano ancora sporchi di terra ma con l’armatura indosso si era tolto le fattezze del prigioniero ferito e spaventato che attendeva la sua esecuzione. Ora appariva come un leone a caccia. Alla sua sinistra il suo compagno Nirgul, con i capelli corvini raccolti dietro la nuca, di nuovo coperto con il suo cuoio borchiato e la balestra in mano avanzava, senza emettere rumore, andando ad allargarsi con ampi passi per circondarlo.
«Ego inclàmo!»
Una luce rossastra avvolse il K’Hell Door dai piedi fino alla testa. Parte delle cicatrici inflitte dagli incantesimi di Turgul si richiuse. I suoi occhi brillarono della stessa luce e le vene del suo corpo sembrarono ingrandirsi.
Zoran fece due passi piccoli per prendere le distanze e poi caricò in linea retta verso il nemico puntandolo con lo scudo. Mentre l’elfo cercava di schivare con la sua agilità il nemico in corsa, Nirgul lo colpì con un dardo di balestra esattamente sulla coscia. Perse l’attimo per scansarsi e si distrasse nel guardare la fonte del danno. Lo scudo piombò così veemente sulla sua spalla che lo sbalzò di peso da terra e lo fece rovinare sul pavimento lastricato dove giacevano i resti dei suoi servitori. Subito cercò di rialzarsi e allontanarsi dalla minaccia. Il dardo nella coscia lo rallentava e Zoran era inesorabile già su di lui con la spada che gli incise un profondo taglio sulla schiena e si fermò sulla scapola. Sopportando il dolore si girò di scatto recitando il suo incantesimo migliore.
«Valde Ego te inflīgo!»
La mano oscura toccò con il palmo il suo scudo e propagò la sua energia negativa fino al petto del paladino che perse il respiro per qualche secondo. Le sue condizioni fisiche non erano migliorate dalla prigionia. Solo il suo spirito si era caricato ma lo aveva reso avventato e adesso anche a terra, piegato su un ginocchio, ansimante. Un altro dardo di Nirgul che colpì il K’Hell Door sul braccio lo fermò dall’infliggere il secondo e ultimo colpo all’umano. L’elfo allora fece di corsa dei passi verso l’abside e si accucciò dietro l’altare in pietra prima che il terzo dardo lo prendesse. La mira di Nirgul era letale ma i dardi della balestra che aveva trovato erano terminati. Estrasse allora dalla cinta il pugnale e si diresse verso il compagno. Zoran si rimise in piedi e con un cenno della testa rassicurò il suo alleato che poteva continuare. Si affrettarono a giungere ai due lati dell’altare per spalleggiarsi e chiudere la fuga al K’Hell Door. Quest’ultimo era accucciato con un ginocchio a terra e al sopraggiungere dei due esclamò con un sorriso beffardo: «Calīgo et tenebrae!»
Tutta la luce nella navata si spense. L’oscurità fu totale.
«Una dote che ho preso nel padroneggiare le arti demoniache è la scurovisione. Per me l’oscurità è nitida come la luce del giorno»
«Muori maledetto!»
Zoran sferrò con impeto un fendente nel punto in cui gli giungeva la voce del nemico e percepì affondare la lama a fondo nella carne fino a cozzare con l’osso. Con un respiro profondo assaporò la gioia di aver finalmente vendicato i suoi compagni, fino a che non giunse l’amarezza.
«Non vorrei rovinarti la gioia ma credo tu mi abbia mancato… Ego te inflīgo!»
Una mano si posò sulla spalla del paladino umano e lo costrinse a terra. Non avvertì nessun dolore dall’incantesimo. La sua mente era spezzata dal dolore di aver colpito il suo compagno invece dell’avversario. Poi rovinò a terra in un rumore metallico.
«Lux!» una voce dal centro della sala ruppe il silenzio e fu di nuovo luce. Dietro l’altare c’era il K’Hell Door con a terra i due umani. Davanti all’altare, in piedi, c’erano Agladur e Kanalagon. Il paladino mezz’elfo balzò oltre l’altare con la spada in mano e colse di sorpresa il nemico ferendolo profondamente con un fendente dalle clavicole all’addome. Il sangue uscì copioso e si riversò a terra mentre l’elfo ancora stupito si lasciava cadere all’indietro.
«Sono stato sconfitto mio Lord… ho perso…» con occhi vacui e un filo di voce il K’Hell Door esprimeva l’amarezza di aver deluso chi aveva riposto fiducia in lui. Un dolore più intenso delle ferite ricevute.
Agladur, aggirò l’altare arrancando e si avvicinò al fratello. Con uno sguardo compassionevole misto ad orrore scosse la testa.
«Mi dispiace sacerdote…» disse sommessamente il paladino.
«Va tutto bene Kanalagon. Lui non è mio fratello. Quando siamo giunti mio fratello era già morto» l’espressione dell’elfo tornò dura e distaccata come sempre. Non poteva accettare che un sacerdote rinnegasse il proprio credo, fosse stato anche il proprio fratello. Per quanto fosse forte il legame con il proprio gemello quello con il suo Dio era di gran lunga più forte.
Il paladino mezz’elfo si inchinò sui due umani ai pedi dell’altare. Erano già spirati entrambi. Posò la mano sui loro visi per chiuderne le palpebre. Poi si alzò ignorando il dolore su tutto il corpo per sincerarsi delle condizioni dello stregone che era sopraggiunto fino a loro, reggendosi quello che era rimasto del suo braccio.
«Turgul come stai?»
«Sono vivo. È la notizia migliore che posso darti»
«Mio lord… il rituale è sufficiente?» la voce del K’Hell Door si sentiva a malapena.
Agladur si inchinò sul gemello. Le sue ferite erano così profonde che la vita l’avrebbe abbandonato tra poco.
«Sta ancora farneticando? Diamogli una morte veloce. Agladur non pensi sia meglio? Decidi tu in fondo è sempre tuo fratello»
«No, potrebbe fornirci informazioni utili. Ha già fatto un nome prima. Adesso voglio sapere di più» nella mente di Agladur c’era un altro colpevole. Oltre alla debolezza del credo del fratello, che aveva pagato con la morte, c’era chi lo aveva indotto a rinnegare il proprio Dio. Un colpevole che il Dio del Castigo gli imponeva di punire.
«Sacerdote, ma…»
«Taci paladino! Decido io. K’Hell Door chi è il tuo lord?»
Il sangue uscì copioso da un rigurgito e lo soffocò.
«Adesso lo interrogo da morto. Parlerà sicuramente»
Con uno sguardo incredulo Kanalagon si girò per avere supporto dallo stregone che sconcertato non sapeva se intervenire. Poi una voce cupa e gelida da una piccola nicchia nell’abside ghiacciò tutti, proveniva da una piccola sfera leggermente bruna.
«Non c’è bisogno di violare il suo riposo. Posso presentarmi da solo»