9. Introductions

La sfera bruna pulsò emanando una luce fioca con tonalità che andavano dal carminio al dorato, poi si spense. I tre compagni rimasti in piedi si guardarono tra loro cercando una spiegazione a tutte le parole scaturite dallo sferico oggetto magico.

Kanalagon si rivolse cupo al compagno chierico:

«Non ho capito granché, sacerdote hai mai sentito quel nome?»

«Forse una volta l’ho sentito, paladino, dovrei averlo letto da qualche parte nella mia chiesa»

«Nome?? Vi state preoccupando di come si chiama? Ci ha detto che sta venendo qui adesso! Adesso!!! Vogliamo fare una ricerca storica dell’etimologia del nome? Vai davanti a te, c’è una porta, magari trovi qualche libro nella stanza privata del K’Hell Door»

Lo stregone era scosso, si coprì col mantello il braccio avvizzito e andò a raccogliere la propria lancia rimasta a terra dallo scontro.

«Capisco la tua preoccupazione Turgul, ma ovunque lui sia ora non sarà qui istantaneamente, dobbiamo portare fuori i corpi di Zoran e Nirgul caduti in battaglia, e poi…»

«Kano, istantaneamente è una parola che per te sembra impossibile ma per un arcanista non lo è! Non dobbiamo perdere tempo, soprattutto per portare fuori i morti, questa è una cripta paladino, riposano qui i morti, è il posto ideale dove lasciarli… ehi! Che fai sacerdote?»

Agladur aveva spostato una cassa di legno vicino al muro dietro l’altare, proprio sotto la nicchia dove era posizionata la sfera bruna.

«La nicchia è troppo in alto e io voglio prendere la sfera con me, la porterò alla mia chiesa, il mio superiore saprà…»

«E’ una sfera arcana, non si prende a mani nude!» sbraitando Turgul prese, con il braccio che gli rimaneva ancora, il dossale, il drappo che ricopriva l’altare, e balzando sulla cassa lo tirò sulla sfera bruna. Poi la prese infagottandola come meglio poteva con una sola mano.

«La sfera la tengo io!»

Agladur sembrava contrariato «Non ti ho invitato a venire con me alla mia chiesa»

Turgul si girò con uno sguardo torvo verso il sacerdote ma prima che potesse rispondere intervenne Kanalagon.

«Sacerdote, saremo braccati fuori da queste mura, restando uniti potremmo sopravvivere, divisi saremmo schiacciati subito. Credo che una volta tornati a Faenord dovremmo sederci intorno ad un tavolo e considerare l’idea di spostarci insieme in una direzione comune»

Agladur osservò inespressivo il paladino poi lo stregone e senza pronunciare una sillaba si curvò sul corpo del gemello e lo prese in braccio incamminandosi verso la scala a chiocciola che portava fuori.

Kanalagon si girò verso lo stregone «Turgul, ti chiedo cortesemente di dare un’occhiata dentro la stanza del K’Hell Door, mentre io cerco di preparare i corpi dei caduti per portarli fuori, si lo so! È una cripta! Ma non voglio lasciare i loro corpi a riposare qui con questi simboli sui muri. Voglio almeno portarli ai loculi superiori»

«Va bene, ma non perdiamo troppo tempo. Mi focalizzerò solo su quello che rimandi al tipo di rituale che stava facendo il K’Hell Door qui o qualcosa su questo luogo»

«E anche qualsiasi cosa su “Ark”»

Quando il legame si interruppe rimase ancora alcuni istanti con gli occhi chiusi, in concentrazione, tenendo il palmo del guanto artigliato al centro del petto. Riaprendo gli occhi spostò la mano scoprendo la placca ossea toracica con l’occhio rosso che prese a muoversi nervosamente per qualche secondo fino a che il mantello nero non tornò a coprirlo. In piedi dietro di lui, il generale, attese ancora qualche secondo prima di intervenire.

«Che succede mio Lord?»

«Un folle gruppo di avventurieri è caduto nella cripta del K’Hell Door e ha interrotto il rituale poco prima della chiusura»

«Quanto prima?»

«Mancavano solo quattro anime»

«Mio Lord volete che vada a recuperare il sigillo?»

«No, vado io stesso»

«Voi? Volete spostarvi per qualche sciocco avventuriero che non sa neanche in che buco è caduto? Mandate me, non vi deluderò. So come chiudere il rituale. Li ucciderò tutti e scioglierò il sigillo»

«No, Deva! V a d o   i o »

Poggiò i pugni chiusi sul bordo dell’ampio tavolo di ardesia circolare che aveva davanti, grande abbastanza per permettere a dodici persone di attorniarlo, e lo spostò di mezzo metro per potersi alzare dallo scranno d’ebano su cui sedeva. Il seggio aveva le gambe zoomorfe, intagliate a forma di leone e ricoperte con foglie di rame e oro, così come i braccioli i cui intarsi erano stati lacerati dalle strette vigorose del Lord, prodotte in momenti di disappunto con i propri generali, i quali di solito avevano vita breve.

«Mio Lord, chiamo il generale Davoern per il teletrasporto?»

«Vado con la Dragonne, fai preparare la sella»

Il Lord si avviò con passo spedito e pesante sul pavimento di pietra pece. I suoi stivali, così come i suoi guanti, il torace, l’elmo completo e tutto il corpo erano ricoperte di placche ossee nere con copiose venature che oscillavano tra l’ocra e il vermiglio. Il rumore dei calzari sulla pietra produceva un tonfo sordo e cupo. Il mantello nero si muoveva come se nel corridoio soffiasse una brezza e questo accadeva anche quando, come in quel caso, tutte le finestre erano perfettamente chiuse e l’aria era assolutamente immobile. Il generale lo seguì a due passi di distanza senza produrre alcun suono. Quest’ultimo era ammantato con una cappa bruna molto ampia con cui copriva un’innaturale e prominente gobba, che ne curvava l’altezza di oltre due metri di cui era dotato e lo faceva apparire più piccolo. Il cappuccio calato sul viso era tirato a forza con la mano ogni volta che, camminando nel corridoio, incontrava la flebile luce del sole che era già attenuata dalla fitta nebbia e dai mosaici dei vetri raffiguranti paesaggi di rovi e foreste scure. Mentre scendevano un’ampia scalinata coperta da un tappeto nero si sentirono dei lontani latrati di dolore.

«Chi è che urla?»

«Due spie mio Lord, le abbiamo trovate a ridosso della rocca, si stavano addentrando nella zona ovest dei giardini. Ora li stiamo interrogando, dobbiamo sapere se sono solo due ladri o se sono venuti qui sapendo che ci fossimo proprio noi. Se urlano evidentemente non vogliono parlare altrimenti li avremmo già uccisi»

«Allora andrò io da loro»

Senza nuovamente rispondere, il generale si volse a sinistra alla fine della scalinata e apri una porta rinforzata che portava a piccoli gradini verso il basso, in fondo una seconda porta rinforzata e le grate della prigione sotterranea dove era stata allestita la sala torture e interrogatori. Un uomo era legato ad un altare di pietra per le braccia mentre le sue gambe erano piegate e ai piedi dell’altare, riposte accuratamente in un baule con altri arti sezionati. Sul prigioniero sdraiato uno gnomo in piedi, vestito con un drappo chiazzato e mal cucito a protezione delle vesti religiose sottostanti, lanciava incantesimi curativi per contrastare la perdita di sangue copiosa dalle arterie femorali, il minimo per poter mantenere in vita il prigioniero. Un altro prigioniero era legato per le braccia e appeso al soffitto mentre guardava con il viso pieno di terrore il compagno in agonia. La sala non era molto ampia e il Lord con pochi passi si avvicinò all’altare mentre il generale rimase sulla porta.

«Non vuole parlare?»

«Ehm.. mio Lord, è reticente anche con le gambe amputate. È un tipo molto ostico»

«No. Sei tu che fai pena con gli interrogatori»

Con la mano artigliata prese la testa dello gnomo e con l’indice e il medio schiacciò le orbite oculari al piccolo sacerdote che emise un suono stridulo e agghiacciante che terminò quando il Lord chiuse il pugno e fece uscire il resto del cranio tra le dita. Poi con il dorso della mano colpì il corpo decapitato facendolo ruzzolare dentro il baule dei resti.

«Deva, trovane un altro decente»

Il generale non rispose ma fece solo un cenno breve del capo, certo che anche di spalle il Lord avrebbe visto la risposta.

«Vorrei presentarmi, visto che sei venuto fin qui a casa mia»

«Non c….c…c’è… bisogno… so chi siete»

«Bene, presentati tu allora. Qual è il tuo nome? Perché sei qui?»

«Il mio nome è… Mulay ed è tutto quello… che ho da dirvi… Non ho intenzione…d…d…di parlare, neanche d…d…davanti a voi»

«Mulay, un nome del sud. Anche il tatuaggio dello scorpione che hai probabilmente sulla schiena e che prosegue con questa coda che hai sul braccio sinistro e con la cuspide che termina sul dito indice, racconta molto. Sei un barbaro del sud. Le inospitali montagne del Nord non sono terreno per te, ti hanno mandato qui con uno scopo preciso. Spiarmi. Il tuo compagno non è coriaceo come te, si è già urinato nei pantaloni guardando le tue torture mentre tu non lo hai fatto. Chi ti ha mandato me lo dirai tra poco»

Con due dita prese una placca ossea vicino alla propria clavicola estraendola con forza. La placca sembrava ricoperta da una pece nera appiccicosa. Il Lord la conficcò nella spalla del prigioniero, proprio dove il tatuaggio si girava verso la schiena. Al contatto con la pelle la placca cominciò lentamente ad espandersi, mentre il barbaro aumentava il respiro e stringeva i denti per non urlare.

«Adesso veniamo a te. Chi vi manda?»

«T…ti dirò tutto! Tutto! Ti prego… non uccidermi…»

La mano artigliata si avventò sul collo del prigioniero appeso al soffitto e un rumore di ossa rotte pose fine alla sua richiesta di pietà.

«Odio i vigliacchi. Deva, fai ripulire questo lerciume e preoccupati che Mulay sopravviva. Deve dirmi chi lo ha mandato ma soprattutto devo sostituire Kroosh nel regno del sud»

«Il generale Kroosh? Perché è caduto?»

«Ancora no. Dammi il tempo di arrivare»

Il ritorno in città fu più rapido dell’andata. Era tramontato da pochissimo quando arrivarono alla porta nord, così poco che le porte non erano ancora chiuse e si risparmiarono le domande di rito. Durante il tragitto Maeglin chiese più di una volta di ripetere tutto quello che avevano ascoltato dalla sfera. Ogni volta che le venivano ripetute le parole Rotar ringraziava gli spiriti della natura per essere stati intrappolati prima e non essere nella lista dei ricercati. “Ark”, questa parola doveva essere in una delle quattro leggende perdute che tutti i bardi cercavano. Lei l’aveva sentita tantissimi anni prima ma non riusciva a ricordare. Avrebbe scommesso il suo flauto che appartenesse a una delle leggende tra “Il Paladino Caduto”, “La Tomba di Ferro”, “La Città Sotterranea” o “L’Occhio Rosso”. Un salto in biblioteca l’avrebbe sicuramente aiutata e si organizzò con Turgul per andare di mattina presto. Davanti la locanda “Vietato Incantare” Agladur aprì bocca per la prima volta dal viaggio:

«Voi entrate, io devo andare dal governatore»

«Io credo che sia un po’ troppo tardi per farsi ricevere dal go…»

«Tranquillo stregone, mi riceverà»

«Vengo con te sacerdote, in locanda mi annoio» aggiunse Rotar, intenzionato a prendere la sua parte della ricompensa promessa per la liberazione delle pianure dai non-morti.

«No Ranger, vado da solo. Da solo!»

Senza neanche attendere una risposta da Rotar, si voltò e se ne andò celere in direzione del centro. Rotar rimase molto deluso e con un tono stizzito si diresse verso la stalla a controllare i cavalli, così almeno disse ad alta voce. Maeglin, che conosceva bene la verità dietro le sue esternazioni di facciata, rivelò agli altri che sarebbe rimasto con gli animali fino a quando non gli fosse passata la rabbia, il che voleva dire almeno fino all’indomani. Entrando si sdettero di nuovo al tavolo vicino il camino e ordinarono da bere e da mangiare, un pasto sostanzioso era più che necessario. L’oste propose di nuovo a Maeglin una breve esibizione in cambio del pasto gratis e l’elfa accettò facendo includere anche i pasti del paladino, dello stregone e di Rotar, che fece servire nella stalla. Durante il pasto Turgul continuava a parlare di come fuggire dal pericolo imminente, tra un lamento e l’altro del suo braccio avvizzito, mentre Kanalagon si limitava ad annuire ad ogni proposta. Dopo aver accettato sia di andare via che restare nella cittadina, lo stregone si spazientì:

«Insomma, Kano, mi ascolti o no? Sto cercando di trovare una soluzione anche per il tuo culo, non solo per il mio. Sei ancora turbato?»

«C’è… una cosa che non ti ho detto nella cripta. Non ero sicuro almeno… ma più passa il tempo più mi convinco di quello che ho visto. Forse è meglio che lo dica anche a te»

«Che cosa hai visto nella cripta?»

«Non era nella cripta. Quando abbiamo sentito la voce dalla sfera. Io… poco prima che la voce smettesse di parlare. Ho visto nella mia mente distintamente un occhio… pensi che me lo sia immaginato? Sai, io sto cercando tracce dell’Occhio Rosso, magari la suggestione»

«Hai avuto una visione durante il messaggio? Quando avevi intenzione di dirmelo? È una funzione particolare di queste pietre. Succede quando la persona che ascolta è molto ricettiva oppure se quella che invia la propria voce è molto potente. Avrei dovuto vederla anche io però… Sono sicuramente più ricettivo di te. Forse ero scosso? Magari si. Se però l’hai vista era proprio così. Forse era parte del corpo di colui che ci ha minacciati. Puoi disegnarlo?»

Il paladino prese l’attizzatoio a fianco al camino e nella brace disegnò l’occhio che vide.

TLoA-LOGO

La tensione dei due fu rotta da Matthew che portò la porzione di Rotar al tavolo.

«Ehi, Matthew, Rotar mangia nella stalla. Devi portarlo lì il piatto e la birra»

«Lo so, Turgul, ma nella stalla non c’era!»

Il bussare alla porta fu energico e prolungato. Merome, fido assistente del governatore, si ammantò con una vestaglia porpora, indossò dei calzari in legno e scese le scale indispettito per l’orario e per il modo di bussare. Non era un orario consono ad una visita. Se non fosse stata un’emergenza avrebbe allertato le guardie a pochi metri e avrebbe fatto sbattere l’impudente in prigione per almeno tre giorni. Girò il chiavistello e socchiuse la porta lasciando aperto quel poco che era necessario per far uscire il naso affilato e gli occhi piccoli e marroni. Una piccola folata di vento gli mosse i riccioluti capelli rossi.

«Chi diavolo è a quest’oraaa?»

«Sono il K’Hell Door, feccia. Apri subito»

Merome rabbrividì al suono delle parole e balbettando rispose:

«Ma… ma… il governatore non l’attendeva… poi non deve bussarci da questa porta…»

«Apri immediatamente. A d e s s o ! »

I piccoli occhi nocciola di Merome si annebbiarono per un breve istante e quasi si girarono all’indietro. L’assistente non cadde a terra tenendosi saldo sulla maniglia. Aprì l’uscio e fece entrare l’ospite, seguendolo su per la scalinata che portava al piano superiore. Quando furono su, la porta principale si aprì di nuovo. Rotar comparve dall’uscio. Si guardò dietro per controllare che non fosse seguito e in maniera silenziosa entrò e chiuse di nuovo il battente.

«Mio signore… il K’Hell Door»

«Eh… cosa?…»

Il governatore era un uomo sulla quarantina con i capelli ricci e biondi, cosparsi di olio profumato alle mandorle, gli occhi grandi e verdi in un viso lungo e glabro. Aveva indosso una veste bianca con richiami dorati sulle maniche e sul collo aperto fino allo sterno. Sotto una camicia rossa che richiamava il colore dei calzari di velluto a punta. Era seduto su una poltrona imbottita dai colori esotici e mangiava da un piccolo tavolo per una sola persona messo davanti ad un grande camino che bruciava un grandissimo pezzo di quercia. Fece cadere la forchetta e si pulì la bocca con un tovagliolo di seta. Fece per alzarsi ma il nuovo entrato lo ammonì con un cenno della mano.

«Siete proprio Voi?»

«Certo. Ho terminato il mio compito. Sono giunto a portarvi la vostra ricompensa…»

«Ehm… sì, riconosco la vostra voce. Mi scuso ma ci siamo visti una sola volta e non eravate vestito come oggi, non si scorge troppo il vostro viso… Merome, porta una sedia per il K’Hell Door! Accomodatevi vicino al camino. Gradite qualcosa da mangiare? Potete dividere il vino con me»

«Porgetemi un calice allora, dobbiamo brindare…»

Merome, arrivò con un’altra poltrona, che sollevava a stento e la mise vicino al fuoco. Poi da sopra la mensola del camino prese una coppa d’argento intarsiata di piccole ametiste e la mise sul tavolo, riempiendola di vino. La porse da sopra un piccolo vassoio all’inviato che la prese con vigore.

«Brindiamo al compimento dell’accordo!»

«Ehm… si! Brindiamo… avete portato l’oro con voi?»

«Oro? Non ve ne serve. Per voi un obolo di ferro!»

La mano del governatore perse la presa e il calice cadde a terra. La sua bocca si spalancò e cominciò a tremare.

«Per voi, mio caro, in qualità della vostra natura intrinseca, c’è solo una strada. Quella della sanzione. Vi impiccherete nudo, come la natura esige con i vermi, sul parapetto della vostra finestra. Quella che dà sul lato della strada principale si intende. E lo farete dopo aver scritto di vostro stesso pugno la confessione che vi vede partecipe in un’alleanza oscura con sacerdoti dell’occulto per vendere anime ignare del proprio destino in cambio di oro. Firmato e sottoscritto. Procedete pure. A d e s s o ! »

Gli occhi del governatore divennero lattiginosi, come sotto una coltre di nebbia densa e la bocca prese una strana e cupa curva verso il basso rimanendo semischiusa.

«Portami una pennah, Meromeh» disse il governatore al suo assistente.

«E tu Merome, assistente devoto, portategli calamaio, penna e pergamena così che possa scrivere quanto dovuto, dopodiché preparate il cappio con la migliore corda che possedete e legate l’estremità alla metà di questo attizzatoio da camino, largo giusto poco più dell’apertura della finestra e sistematelo con cura. Attenderete l’impiccagione e quando il vostro Signore smetterà di divincolarsi, contate accuratamente tutte le stelle del firmamento, solo a numero ultimato tiratelo su e date l’allarme alle guardie, facendo giuramento di riconoscere per filo e per segno ogni lettera vergata sulla pergamena quale vera scrittura del governatore. N o i   n o n   c i   s i a m o   m a i   v i s t i ! »

«Arrivoh con l’occorrenteh, mio signoreh…»

L’ospite bevve fino in fondo il calice di vino. Poi lo soppesò nella mano destra prima di gettarlo nel camino. Si tolse il mantello del K’Hell Door e lo ripose sulla sedia appena portata dirigendosi verso la scalinata che portava all’uscita incrociando lo sguardo esterrefatto di Rotar.

«Agladur… ma era la tua voce quella… che diavolo hai fatto?»

«Quello che andava fatto, fratello elfo. Adesso scansati»

Scalzò di lato il ranger in malo modo e scese deciso i gradini. Rotar si girò a guardare i due uomini davanti al camino, intenti ad eseguire i comandi impartiti dal sacerdote. Poi si volse e seguì il compatriota.

«Li hai soggiogati… Cosa è stato? Un dominio mentale? Che diavolo di incantesimi ti fornisce il tuo Dio? Questa non è giustizia. È vendetta. Non ti riconosco sacerdote!»

Agladur si fermò con la mano sulla maniglia della porta principale e si girò verso il compagno.

«Non mi riconosci? Tu non mi conosci proprio. In effetti non ci siamo ancora presentati ufficialmente. Agladur, elfo di Tor Hill, sacerdote del Dio del castigo e dell’equa punizione»

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