“La fortezza di pietra aveva un’altezza che superava di oltre cento metri la cima più alta della catena montuosa. La torre principale era larga circa trenta metri con una sezione ovale, la parte più stretta era orientata in direzione nord-sud. In alto la torre si divideva in quattro torri più piccole a sezione circolare, con un diametro di circa cinque metri. La decisione di erigere la torre era stata di Re Rodrik, soprannominato “Scilla Verna” per via dello smodato uso dell’omonimo fiore che cresceva sul versante sud della catena e che, a differenza delle specie native degli altri continenti, aveva degli effetti allucinogeni sull’uomo. Egli non visse abbastanza per vedere completata la sua opera, perché gli effetti allucinogeni del fiore lo spinsero a gettarsi dalla torre ancora incompleta imbracciando due scudi, nel tentativo di emulare il volo di un drago.
Il suo successore Re Frann portò a compimento il progetto che inizialmente prevedeva la costruzione di solo quattro torri apicali, ma sua figlia gli fece notare che la forma della torre ricordava una mano troncata del pollice e che questo era di cattivo auspicio, quindi il Re fece progettare una quinta torre che fuoriusciva lateralmente e si innalzava come le altre quattro. La Quinta Torre divenne la residenza privata del Re, che abbandonò la Seconda Torre, la più alta di tutte, lasciandola al mago di corte, membro più importante del Concilio dei Maghi del Nord. In memoria di Re Rodrik venne fatta anche un’apertura rivolta a sud, a metà altezza della torre, con un lungo balcone e un’ampia apertura per accogliere i Cavalieri dei Draghi, i quali potevano atterrare sulla struttura lasciando le proprie cavalcature lontane dagli occhi del popolo. C’era sempre qualche schiavo della Scilla Verna che in preda agli effetti del fiore si lanciava contro un Drago nel tentativo di sottometterlo.
I Cavalieri dei Draghi erano una compagnia d’armi esclusiva del Regno del Nord. Riuscivano a catturare dei draghi bianchi di giovane età e li facevano soggiogare con la magia, rendendoli sottomessi e mansueti come cavalli. Il periodo di sottomissione durava dai due ai venti anni, perché quando la crescita del drago arrivava a uno stadio più maturo la magia draconica prendeva il sopravvento, essendo naturalmente più intensa, e i draghi tornavano a essere lucidi vendicandosi sul proprio cavaliere; questi, se fosse stato abbastanza scaltro, avrebbe sacrificato la propria cavalcatura ai primi segni di cedimento, altrimenti diventava cibo. Solo due ebbero la fortuna di avere più di una cavalcatura: Erik e Ellmann Hal Drada. Erik ne ebbe tre, mentre suo fratello Ellmann due. Il loro destino era scritto già nel nome, infatti Hal Drada nel dialetto nordico significava letteralmente “Signore del Drago”. Erik e Ellmann si distinguevano tra il popolo del Nord per la loro capigliatura e la loro barba rossa, il cui colore ramato era la massima espressione di virilità, cosa che si sposava perfettamente con le loro strutture fisiche, prestanti e massicce, nonché con i loro modi barbarici. L’intesa tra i due era assoluta e aveva permesso loro di sopravvivere dove da soli non avrebbero potuto, fino a farli diventare famosi per la “Battaglia del Ghiaccio Vivo”, in cui la madre delle loro cavalcature venne a rivendicare la libertà dei propri pargoli. Il drago bianco era di taglia enorme ed era riuscita a decimare da sola il corpo dei Cavalieri dei Draghi, eccetto appunto i fratelli Hal Drada che riuscirono a decapitarla. Ogni anno che passava i racconti sulla “Battaglia del Ghiaccio Vivo” divenivano sempre più altisonanti fino a quando un bardo non decise di metterla in musica, cantando di come i fratelli disarmati e senza cavalcature uccisero un antico dragone bianco di taglia oltre la colossale.
Quando Re Frann morì di vecchiaia, la popolazione era spaccata in due sulla scelta del successore: metà parteggiava per Erik, fiero e impavido, l’altra per Ellmann, la cui intelligenza poteva competere con quella dei membri del Concilio dei Maghi del Nord. Proprio il voto di questi ultimi fu decisivo per l’elezione del Re: Erik riuscì a convincerli che lui rappresentava la migliore scelta per il regno e il Concilio fece votare tutti i propri adepti a suo favore. Per una manciata di voti Erik fu incoronato. Da quel giorno il rapporto tra i due fratelli si incrinò. Erik non smetteva mai di far notare, con marcato sarcasmo, che Ellmann sarebbe stato ricordato solo come “il fratello minore del Re”. La grande intelligenza di Ellmann si annichiliva quando entrava in competizione, la sconfitta era cosa inaccettabile e sopportare le angherie del fratello maggiore lo divorava interiormente. L’attrito tra i fratelli aumentava con il passare degli anni ma non sfociava mai in scontri fisici. Alzare la mano contro un altro figlio del Regno del Nord era pur sempre visto come il massimo atto di viltà di un uomo. Ma tutto questo durò fino a quando Re Erik non si innamorò di una straniera che venne dal Sud. L’arrivo della donna era stato annunciato a Re Erik da uno dei membri del Concilio dei Maghi, Nagaš “il Veggente”.
«Una donna dai capelli ramati, cinta d’oro, giungerà dal caldo Sud nell’ultimo giorno d’inverno sopra un candido destriero, vestita del colore della viva fiamma. Ella ti darà il tuo erede»
Selenada era il suo nome, e giunse cavalcando un drago bianco adulto. La maturità del drago non avrebbe permesso un condizionamento mentale magico, per cui il drago doveva essere consenziente. La cosa era testimoniata dal fatto che parlava fluentemente la propria lingua draconica e la lingua comune degli uomini. Il giorno del suo arrivo fu uno dei più limpidi dell’intero inverno, per cui videro il drago bianco con la sua taglia enorme da miglia di distanza. Al suo arrivo, avvolta in un mantello di pelliccia di volpe rossa, nella torre ad accoglierla era presente solo un Cavaliere del Drago: Ellmann, divenuto ormai Capitano. Re Erik arrivò in sella alla sua cavalcatura molto dopo l’arrivo della donna e la vista di suo fratello vicino a quella che sarebbe dovuta diventare la madre di suo figlio lo fece impazzire, tanto che si scagliò contro di lui con ira furente. La lotta tra i due vide inizialmente Erik sopraffare il fratello, che scosso e preso alla sprovvista non comprendeva l’ira del suo Re, fino a quando il suo istinto di competizione non ebbe il sopravvento. Erik negli anni da reggente si era lasciato andare con lauti banchetti e fiumi di birra, mentre Ellmann aveva riversato la propria frustrazione sulla lotta e sull’addestramento. Il Re fu atterrato e immobilizzato a terra, davanti alla donna promessa e a Nagaš, il mago che era giunto a vedere compiersi il proprio vaticinio. Essere soggiogato dalla forza del fratello pubblicamente non fece altro che infervorare ancora di più il Re, che fu calmato solamente da un incantesimo di compulsione mentale lanciato da Nagaš. Re Erik cadde in un profondo sonno che durò due giorni e al suo risveglio non aveva ricordi dettagliati e lucidi dell’accaduto ma rimase comunque pervaso dall’ira. La prima cosa che fece fu incontrare la propria ospite e per questo organizzò un banchetto, invitando tutti i Cavalieri dei Draghi, il Concilio dei Maghi e i suoi più fidati consiglieri, nonché gli esponenti di spicco di tutte le più importanti famiglie del Nord.
“Per ordine del Re, lei è invitato a presenziare al banchetto di questa sera nelle grandi sale della Mano del Nord. La presenza è obbligatoria.”
Al banchetto furono “invitati” anche i migliori bardi del Nord, a cui venne anche imposto di cantare unicamente la seconda versione de ” La Battaglia del Ghiaccio Vivo”, ovvero quella in cui il Re sconfisse da solo l’Antico Dragone, nudo e disarmato.
Al banchetto Selenada si presentò vestita di un semplice ma appariscente vestito rosso, i suoi capelli rossi erano dello stesso colore della capigliatura dei fratelli Hal Drada. Gli occhi blu brillavano come due zaffiri. La donna venne portando con sé due doni: un piccolo scrigno per il Re e uno ancora più piccolo per Ellmann, capitano dei Cavalieri del Drago. Erik ghignò guardando il piccolo contenitore del fratello, il quale non curante della risata generale che aleggiava nella stanza, ne scoprì il contenuto: un anello di oro bianco intagliato con la trama delle scaglie di un drago.
«Mio Lord, questo antico anello è magico, permette al portatore di trasformarsi in un antico dragone bianco…»
Il ghigno di Erik si tramutò in un ringhio di rabbia
«Ma stia attento mio Lord, ogni minuto passato nella forma draconica consuma un anno della propria vita umana. Lo usi con parsimonia»
Selenada si girò verso Erik fissando lo scrigno e poi il Re negli occhi, invitandolo dolcemente ad aprire il dono. Erik, ammaliato degli occhi azzurri della donna, si dimenticò del fratello e aprì curioso il proprio scrigno. Da esso estrasse una gemma grande come la testa di un uomo. Dal centro di essa emergeva una flebile luce bluastra.
«Essa mio Re, è l’archetipo di tutte le gemme, il cuore di un antico dragone bianco cristallizzato. Con esso può richiamare a sé tutti i draghi bianchi che ne vedano la luce e comandarli a sua volontà»
I Cavalieri dei Draghi si alzarono tutti in piedi e emisero un grido di battaglia per l’incontenibile gioia. Non avrebbero più corso il rischio di diventare cibo per le loro cavalcature.
«Ma anche in questo caso c’è un prezzo da pagare mio Re. Per ogni drago controllato, un anno della sua vita verrà portato via. Lo usi solo quando sarà necessario»
La donna spiegò inoltre che i “Doni del Ghiaccio” possono essere usati solo da una persona alla volta. Per passare a un altro possessore il precedente deve morire e il nuovo per accettarne il possesso deve usarlo almeno una volta.
Re Erik ripose il dono nello scrigno e senza proferir parola prese la sua ascia da parata e la porse dalla parte del manico verso Selenada. Il gesto era il modo in cui i guerrieri del Nord chiedevano in sposa una donna. Se essa avesse accettato avrebbe preso l’ascia per il manico e lo girava nuovamente dalla parte dell’uomo. Se avesse rifiutato avrebbe dovuto tentare di colpire l’uomo con l’ascia. Selenada prese l’ascia per il manico e tirò a sé l’arma, senza girarla né tentare di colpire Erik. Stringendola tra le mani cominciò a guardarsi attorno. Girò incontrando lo sguardo di ogni uomo presente al banchetto fino ad incrociare di nuovo lo sguardo di Ellmann e infine di Erik. Lì cominciò a parlare. Spiegò a tutti i presenti perché era giunta fin lì con quei doni: tra pochi giorni si sarebbe abbattuta su tutto il Nord la vendetta dei Dio dei Draghi Bianchi, il quale era adirato che i suoi figli fossero sottomessi e sfruttati come bestie da soma dagli uomini del Nord. Egli avrebbe soffiato ininterrottamente su tutto il territorio il suo soffio gelido fino a che ogni uomo, donna o bambino del Nord non fosse morto. Tutte le case del Nord sarebbero state spazzate via. Solo la Mano del Nord poteva sopravvivere, ma solo se fosse stata anch’essa ghiacciata prima dell’arrivo del “Soffio Bianco”, così da renderla immune alla grande forza del Dio dei Draghi. Per questo aveva portato l’anello. Ellmann avrebbe dovuto fortificare la torre, mentre Erik avrebbe dovuto scegliere chi portare all’interno della torre e chi fosse rimasto fuori. Tutto il resto sarebbe stato spazzato via senza alcuna possibilità di sopravvivere. Poi la donna tacque; tacque per tutti gli uomini presenti tranne che per il Re, che continuò a sentirla nella sua mente, dove lei gli parlò lentamente, come una madre pazientemente cerca di spiegare al proprio pargolo qualcosa di troppo complessa per la mente di un infante. Gli spiegò che non poteva accettare la sua richiesta di matrimonio; infatti, come Nagaš “il Veggente”, anche lei aveva il dono di vedere il futuro e in esso aveva visto che il loro matrimonio avrebbe portato allo scontro con il fratello, conducendo alla morte tutto il popolo del Nord. Gli spiegò anche il significato della profezia del Mago del Nord: l’erede che lei gli avrebbe donato non sarebbe stato un figlio, ma la salvezza di tutti i figli del Nord, che avrebbero ricordato Erik come il capostipite di tutta la loro stirpe, colui il quale aveva salvato il regno e aveva dato loro una possibilità di salvezza dal destino crudele che altrimenti li avrebbe colpiti. Il Re rimase immobile per qualche secondo e poi, digrignando i denti, riprese con forza l’ascia dalla donna, esclamando con poca grazia che se quello che diceva si fosse rivelata una menzogna, non avrebbe mai potuto sposare una bugiarda, mentre nel caso contrario nessuna donna del Sud avrebbe mai potuto prendere il posto di un figlio del Nord nella torre. Erik si girò verso il fratello, il quale annuì, guardandolo con rispetto fraterno per la decisione presa. Il Re ricambiò lo sguardo di Ellmann con rabbia e fervore. Poi girandosi verso tutti i presenti ordinò di interrompere il banchetto per potersi preparare alla possibile vendetta del Dio dei Draghi Bianchi. Ordinò al fratello di utilizzare l’anello e congelare la Mano mentre lui avrebbe scelto chi sarebbe sopravvissuto. Mentre tutti si affrettavano a liberare la sala, Ellmann rimase immobile e esclamò un fermo e convinto NO agli ordini del suo Re. Tutti si fermarono a osservare i due che con guardo di sfida si fissavano negli occhi. Ellmann affermò che se ci fosse stato un modo per poter placare l’ira del Dio, sarebbe valsa la pena tentare: Erik avrebbe dovuto utilizzare il cuore cristallizzato per liberare i draghi bianchi sottomessi al cavalierato e mandarli, senza dare loro possibilità di cercare vendetta, verso l’estremo Nord. Nagaš, vedendo il Re stringere con forza il manico della sua ascia, intervenne prontamente sussurrando delle parole nell’orecchio del suo Re. Nessuno riuscì a sentire le sue parole, ma esse furono così convincenti da far cambiare idea a Erik, impresa che riusciva solo a Nagaš. Erik annuì con la testa: avrebbe liberato i draghi al termine del congelamento della Mano. Le sue parole non furono gradite dai membri del cavalierato ma nessuno osò contraddire gli ordini del proprio capitano né l’ultima parola del Re.”
Òron lesse l’ultima riga, poi girò la pergamena dall’altro lato, non trovandovi però nessuna parola scritta. Allora alzò la testa e guardò prima Froga e poi le orbite vuote dello scheletro che in quel momento lo stava fissando in un sinistro silenzio. Era alto due metri, cavalcava un destriero scheletrico, vestiva una cotta di maglia congelata e dalle sue spalle cadeva un mantello nero con il bordo di ermellino. Sulla sommità del suo cranio svettavano cinque grosse protuberanze che sembravano denti di Drago, disposte in forma circolare come a formare una corona. La bocca senza labbra mostrava una dentatura perfetta e dritta.
«Che è successo poi? Dove sono le pagine che mancano? Chi lo ha scritto? La Mano è ghiacciata, quindi credo che Ellmann abbia compiuto il volere del fratello e non abbiamo cavalieri dei Draghi, quindi anche Re Erik ha fatto quanto promesso. Voi lo avete fatto, non è vero mio Re?»
«Una domanda alla volta, Òron. Re Erik ti spiegherà solo quanto è necessario» sussurrò Froga verso il guerriero.
La voce sinistra, lontana e fredda del Re rispose al guerriero, ma mentre parlava la sua bocca ossuta non si muoveva.
«Quelle che leggi sono le pagine che Nagaš, eletto Capo del Concilio dei Maghi del Nord, scrisse dopo la mia scomparsa. Mio fratello congelò la torre: ci mise un’ora e al termine venne da me, nella mia torre, con l’aspetto di un vecchio rachitico novantenne, chiedendomi di liberare i draghi. Ma io all’inizio non lo feci, volevo tenerli con me»
«Perché mio Re? Ha infranto la promessa fatta!» Òron era esterrefatto: nessun uomo del Nord infrangeva mai una promessa.
«Ellmann ne aveva infranta una prima: aveva promesso di eseguire i miei ordini senza discutere, il giorno della mia incoronazione. Ma questa mia giustificazione non calmò mio fratello, che con i suoi ultimi istanti di vita si fece cadere dalla finestra della torre e utilizzò l’anello trasformandosi in Drago per minacciarmi. Io allora come uno stolto usai il cuore per soggiogare la sua volontà. La donna mi aveva ammonito che avrebbe funzionato solo su un cuore draconico e mio fratello rimaneva pur sempre un uomo. A quell’azione Ellmann congelò l’intera stanza, le aperture e la porta di accesso. Poi spirò, si ritrasformò in uomo e cadde nella vallata sottostante, portando con sé il Dono del Ghiaccio, che non fu mai più ritrovato»
«Lei come uscì dalla torre? chiese il guerriero.
«Non sono mai uscito da lì. Sono morto di vecchiaia dopo diciassette giorni. Ho utilizzato il potere del Cuore per chiamare i draghi e cercare di rompere il ghiaccio, ma nessun drago del cavalierato poteva nulla contro la barriera creata dal soffio di un Drago Antico. Quando sono arrivato al limite del tempo che mi era rimasto da vivere ho gettato il cuore a terra frantumandolo. Da quell’istante è iniziato l’incessante gelo del “Soffio Bianco”»
Froga intervenne dopo qualche secondo di silenzio in cui Òron cercava di rielaborare nella mente le parole di Re Erik e mentre quest’ultimo rimaneva nel suo immobile silenzio.
«Re Erik, è venuto da me il mese scorso. Nella Mano dei Ghiacci ora dimora un necromante, un arcanista che manipola la morte. Egli ha destato tutte le anime morte nella torre e sta costruendo un esercito di non morti. Ci sono alcune ore in cui il suo dominio su queste anime non è attivo, in quei momenti il Re può venire da me. Mi ha chiesto di trovare dei valorosi disposti a liberarlo dal suo stato di non-morte»
«Come? Che dovrei fare?»
Fu Erik allora che risposte alle domande di Òron.
«Ferma il “Soffio Bianco” e la mia anima avrà pace, si romperà il legame che la costringe a rimanere nella Mano dei Ghiacci e io potrò lasciare questo mondo»
Il guerriero spalancò gli occhi e la bocca. Era impossibile.
«Oppure… uccidi Nagaš, sali nella Quinta Torre e getta le mie ossa oltre la finestra da dove si è lanciato mio fratello»
«Nagaš? Cosa c’entra il Veggente ora?»
«È lui il necromante»