19. Council of Thunders

La città di Daroking traeva il nome dal suo fondatore: Daro I, il conquistatore, che dalla penisola a nord del regno di Samar era giunto per conquistare tutta la landa divisa tra i signorotti locali che governavano tutte le piccole città-regno presenti. La conquista di Daro I fu semplice, veloce e bagnata con il sangue. Forte dell’elevato numero di uomini con cui era giunto e trovando una realtà frammentata in continue lotte intestine, aveva creato la sua casata e il suo regno in meno di un anno, edificando al centro della florida regione centrale la sua capitale, Daroking, che nella lingua di Samar significava “Daro il Re”. Daro divise poi il regno in quattro parti, tenendo per sé la regione con il clima più ospitale, quella est: la zona a sud la affidò a suo cugino Jaro, che si arroccò nella maestosa Città dell’Ombra; lasciò l’indipendenza al reame elfico di Quel’ Dorei, situato nel vasto bosco a nord-est della capitale meridionale, poiché gli elfi erano avversari ostici da affrontare nei fitti recessi ombrosi delle selve e stipulò con essi un accordo di non belligeranza sino al termine dei Giorni, a patto che quest’ultimi non intervenissero in alcun modo in eventuali battaglie contro il reame: una richiesta che ben si conciliava con lo spirito scarsamente affine all’interazione degli elfi con tutte le altre razze e civiltà differenti da loro; nella parte ovest del continente, concessa in vassallaggio al più influente signorotto autoctono che risiedeva nella città-regno di Tor Hill, sopravviveva un’altra civiltà indipendente, il regno nanico di Karak N’ Kar. Se gli elfi erano stati dei nemici ostici negli scontri durante la conquista, i nani non si erano rivelati affatto, poiché neanche una freccia dell’esercito di Daro ne aveva ferito finanche uno. Chiusi nella loro città sotterranea, con le loro imponenti porte scolpite nella nuda roccia, non si curavano minimamente dell’assalto, il quale risultò inefficace come il vento che cerca di sradicare una montagna. Una disfatta che lasciò Daro, fine stratega e vero uomo di guerra, con l’amaro in bocca. Soprattutto per l’importanza strategica del reame nanico che presiedeva il valico con la zona a nord del regno, una terra ricca di cave e di miniere di metalli preziosi, facilmente sfruttabili ma ignorate dalle barbariche tribù che dominavano quelle lande settentrionali. Daro fu costretto a mandare i suoi migliori guerrieri al nord attraverso le montagne, per poter estendere il dominio fino a lì al fine di creare una sorta di barriera difensiva e scongiurare eventuali attacchi futuri. I suoi soldati sconfissero i capitribù e, sotto il suo nome, richiesero un torneo per istituire il “Governatore del Nord”, vassallo del Re Daro I il Conquistatore. Nessun epiteto o autorità sarebbero stati sufficienti a convincere i barbari delle terre boreali ad accettare la disputa, furono solo la loro foga di combattere e il loro spirito sanguinoso che li spinsero a partecipare, coinvolgendo praticamente ogni maschio che potesse imbracciare un’arma. Daro concesse loro piena autonomia e la promessa di non invadere mai il territorio, in cambio di avere il nome di ogni Re che sarebbe succeduto al primo e ogni anno una quota di minerali e metalli preziosi. Tale usanza si spense dopo pochi anni, quando i cambiamenti climatici congelarono le terre nordiche e resero di fatto la zona di scarso interesse per Daro. L’abilità di conquista del nuovo sovrano non era inferiore alla sua saggezza politica: la suddivisione del reame e i patti stretti in precedenza permisero al regno di prosperare in pace, a parte qualche piccola ribellione civile che lo mise in agitazione, per circa un millennio. Nella sua lungimiranza aveva istituito dei concili annuali tra i suoi vassalli, tra le chiese e i culti minori, tra le scuole di magia, e tra le gilde di tutte le città che si svolgevano nelle vaste sale del mastio della capitale-fortezza di Daroking. Partecipare ai concili era soprattutto un atto di sottomissione al Re e alle sue leggi e una reciproca ammissione di assenso alla coesistenza. Tutti erano invogliati a partecipare tanto per il prestigio che ne derivava quanto per legittimarsi agli occhi della popolazione. Dopo un millennio, le riunioni venivano ancora indette dal sovrano con cadenza variabile a seconda delle esigenze che maturavano di volta in volta, anche se la partecipazione non aveva più il lustro dei secoli passati. La città nel corso dei secoli si era espansa, aggiungendo due cinte murarie a quella già esistente. Quella più interna, di forma esagonale, era interamente costruita di pietra sedimentaria arenaria di colore scurissimo. A prima vista sembrava una roccia ignea, simile al basalto, e per tale ragione Daro XI, il Colto, scrisse una ballata sull’edificazione della città in cui il suo antenato, in sella a un drago, aveva forgiato le indistruttibili e solide mura sciogliendo le rocce informi della vecchia città di Stargond. La ballata divenne leggenda e si diffuse tanto da dare il nome alla fortificazione, che venne chiamata “la cintura di fuoco”. Agli angoli delle mura, le torri a base quadrata vennero sostituite da torri a base esagonale quando Daro XVI, l’Edificatore, aveva trovato inadeguato la linea di tiro offerta dalle feritoie di quelle originarie. Lo stesso Re aveva poi progettato e avviato la costruzione della seconda linea di mura, in pietra arenite e sempre a pianta esagonale, al fine di proteggere le coltivazioni e i braccianti dalle aggressioni delle tribù nomadi. L’ultima fortificazione avvenne due secoli dopo, sotto il regno di Jafaro V il Visionario. La forma delle mura era irregolare nella pianta, nell’altezza, e nel materiale di costruzione utilizzato: da lontano sarebbe potuta sembrare una conformazione naturale del terreno se le svettanti torri della cinta di fuoco e il grande mastio centrale, denominato il “Rubino di Daro”, non avessero tradito la sua origine artificiale. Il mastio era una torre a base dodecagonale larga oltre trenta metri e alta otto piani, costruita in baussite, una pietra arenaria rossa. I primi tre piani erano occupati dalle guardie private del Re. Nei successivi tre vi erano il magazzino per le riserve degli alimenti, i depositi aurei e la sala del trono. Il settimo veniva condiviso dal sacerdote e dall’arcanista reale, mentre l’ottavo era di esclusiva pertinenza della famiglia reale. Alcuni re, nella storia del reame, avevano passato l’intera vita nell’ottavo piano, senza mai mettere piede all’esterno, delegando i propri compiti all’arcanista o al sacerdote reale. Anche quel giorno il re Daro XXXIII, detto il Taciturno dagli annali del regno, aveva ordinato al mago reale di presiedere alla prima giornata del concilio sacerdotale, mentre il suo reverendo personale ottemperava, con i suoi poteri taumaturgici, ad alleviare i pesanti dolori che attanagliavano le sue stanche membra. Un concilio al quale Tristan avrebbe partecipato volentieri solo se l’alternativa fosse stata una morte violenta, in quanto provava repulsione per qualsiasi dottrina religiosa. Si era attardato il più possibile con i contabili reali nell’opera giornaliera di supervisionare le spese della città, al fine di ridurre il più possibile l’ascolto di quei tediosi discorsi sul declino inesorabile che i culti dei Dodici Dei stavano subendo nel corso degli ultimi cento anni; o almeno questo era ciò che si era aspettato di sentire varcando la soglia della porta di pietra rossa che le guardie reali gli avevano rispettosamente aperto. Il suo ingresso non fu accolto da un ossequioso saluto né dall’alzarsi dei sacerdoti riuniti intorno al tavolo a dodici lati d’ardesia della sala. Tutti i presenti erano in piedi eccetto uno: il massimo esponente del Dio dei Viaggi che, trasandato come un vagabondo, era stravaccato sulla sedia e dormiva nonostante le voci alte e squillanti che risuonavano nella vasta sala. I numerosi arazzi e le spesse mura avevano isolato il rumoroso battibecco in atto. Sulla sinistra, Fion, il sacerdote del Dio della Magia, vestito con un abito blu, era paonazzo e i suoi pochi capelli bianchi rimasti sopra le orecchie erano scarmigliati. Inveiva con veemenza puntando il dito contro il sacerdote del Dio del Castigo, Gearard di Tor Hill, che aveva le maniche della sua tunica grigia tirate sopra i gomiti e con le mani piantate sul tavolo guardava arcigno il suo accusante. Dietro Fion i rappresentanti delle divinità degli Alberi, delle Messi, del Canto e della Forza, cercavano invano di acquietarlo, mentre i sacerdoti delle divinità delle Montagne e delle Bestie Magiche spalleggiavano le sue parole, seppur con minor vigore. A difesa di Gearard c’era la sacerdotessa elfica del Dio del Sole, con la sua veste bianca come il suo incarnato e i capelli raccolti in una treccia avvolta a spirale dietro la nuca e Sir Gary, paladino del Dio del Fulmine. Tristan trovò l’accesa diatriba verbale indecorosa per la sala in cui erano e irrispettosa poiché alla presenza del Re che lui rappresentava: alzò pertanto il bastone di ottone che stringeva nella mano destra e lo picchiò con forza a terra, generando il fragore di un tuono. Le uniche persone che non sussultarono per il rumore prodotto furono le guardie reali, preparatesi in tempo a tale evenienza avendo scorto fugacemente il movimento dell’arcanista, e Luaineach, il sacerdote del Dio dei Viaggi, che continuò a permanere nel suo stato di sonno profondo. Mentre Tristan avanzava con passo spedito verso i chierici, le guardie chiusero le porte rimanendo fuori dalla sala.

«Mi sembra necessario che si porgano gli omaggi, quando un sovrano entra nella sala»

Tristan fissò con i suoi occhi turchesi uno ad uno tutti i presenti. Le rughe del suo viso non avevano intaccato la sua avvenenza, e i pochi capelli bianchi che erano sopraggiunti con l’età avevano preso il posto del nero corvino solo tra le orecchie e le tempie. Una piccola barba curata che si allungava solo di qualche centimetro sotto il mento gli donava un’aria regale.

«I nostri omaggi, facente funzione del Re!» tutti i presenti si acquietarono rispettando i costumi.

Fion, sacerdote del Dio della Magia, amico dell’arcanista reale, spazientito dall’accanito alterco verbale si inalberò nuovamente e si girò verso di lui:

«Tristan, arrivi in ritardo! Dovevi sentire che cosa…»

Ka-boom!

Di nuovo il bastone di ottone con il simbolo dell’occhio del Dio della Magia circoscritto in un pentagono batté a terra producendo il suono devastante del fulmine:

«SE-DU-TI!»

Tutti e dodici i chierici presero posto celermente intorno al tavolo. Del pantheon dei culti presenti nel regno, gli assenti erano solo i rappresentanti delle divinità negative o malvagie, mai chiamati al concilio. La sedia di ebano con le gambe intagliate come zampe di leone e ricoperte con foglie di rame e oro, si spostò da sola mentre il mago avanzava. Al suo sopraggiungere al bordo del tavolo la sedia si avvicinò alle sue terga mentre, senza guardare, vi si sedeva sopra. Tutti i partecipanti allora si sedettero sulle proprie sedie, uguali a quella reale eccezion fatta per l’ebano senza intarsi e di dimensioni leggermente inferiori.

Tristan fissò subito Fion con sguardo sdegnato:

«Padre Fion, vi ricordo che io rappresento a tutti gli effetti il Re. Pertanto, dovrete, pena la detenzione, attenervi al protocollo come se la Loro Maestà fosse in questa sala»

Gli occhi verdi del chierico si abbassarono per la vergogna di essere rimproverato davanti a tutti. Si poggiò quindi contro lo schienale mordendosi le labbra per essere inciampato nel protocollo a causa della sua rabbia.

«Ho assistito solo a pochi istanti dell’indegno diverbio in atto prima della mia tardiva venuta. Visto che Padre Fion è un mio concittadino, concederei per ospitalità il privilegio di spiegarsi prima a Padre Gearard di Toryl. Prego, avete parola per due minuti»

Il chierico del Dio del Castigo si ricompose le maniche, si schiarì la gola, e accarezzandosi la folta e curata barba brizzolata si rivolse a Tristan:

«Grazie, facente funzione del Re. Chiedo venia per quanto di indegno voi abbiate visto, e vi garantisco che ciò che accaduto è assolutamente lontano da ciò che avrei voluto produrre. Avevo solamente esposto il mio pensiero quando sono stato tacciato da Padre Fion come “aizzatore di terrore infondato”, nonché “cantastorie” e “assiduo fruitore della Bangha Viola Lexe”. Tutto ciò, per aver detto una sola parola. Pretendo delle scuse da Padre Fion, mi sembra il minimo per poter continuare ad avere un dialogo aperto e rispettoso con lui»

Il mago reale alzò impercettibilmente il sopracciglio sinistro, fissò gli occhi nocciola di Gearard, poi passò a guardare Fion che aveva alzato la testa guardando in maniera arcigna il chierico del Dio del Castigo. Tristan tornò di nuovo su quest’ultimo:

«Potrei di grazia sapere quale parola ha generato tanta irriverenza nel mio concittadino, padre Gearard?»

«Sì. Ho fatto il nome di Ark»

Il sopracciglio dell’arcanista questa volta si inarcò visibilmente:

«Solo quattordici persone sono a conoscenza della leggenda di Ark: noi tredici presenti più il sacerdote reale. Penso che le sia noto che abbiamo fatto un voto circa la fruibilità di tali informazioni; parlarne non è consentito, fatto salvo che il dialogo sia volto allo scongiurare un ritorno della minaccia. Come era nei patti, in quanto facente le funzioni del sovrano, perlustro annualmente e personalmente la tomba di ferro e non ci sono presupposti che facciano pensare ad un imminente ritorno. È sicuro di voler continuare la discussione?»

Il chierico guardò il suo interlocutore e con un tono posato e lento ribatté:

«Anche padre Fion mi ha rassicurato circa i vostri doveri e su come essi vengano portati a termine con assiduità. Ciononostante, ho informazioni fondate che mi fanno temere che il pericolo sia reale»

Tristan strinse le labbra, come se un sapore amaro si facesse largo nella sua bocca, poi con un tono tagliente rispose:

«Se nonostante le conseguenze, che le sono ben note, voi siete così certo che la discussione debba avere luogo, continui pure»

Nonostante la mal celata minaccia, Gearard continuò, alzandosi in piedi:

«Vallesole è stata rasa al suolo ieri notte. Completamente»

Padre Fion si alzò di scatto:

«E lei come lo sa? E come collega il fatto ad Ark?»

La sacerdotessa elfica del Dio del Sole si alzò con grazia. Si eresse in tutta la sua altezza e con solennità disse:

«L’ho riportato io. I centauri del bosco di Vallesole me lo hanno riferito. Il villaggio è stato raso al suolo da uno o più draghi…»

Con sguardo saccente, e con tono piccato, il chierico della Magia enunciò:

«I draghi sono creature magiche ben più antiche di Ark, non lo hanno mai servito e mai lo serviranno. Avranno avuto i loro motivi per attaccarli…»

«…verdi. Erano draghi verdi» la sacerdotessa finì il discorso interrotto da Fion con sguardo di disappunto.

«Che abitano le foreste temperate e i boschi. Un ambiente che rispecchia perfettamente la zona circostante Vallesole. Discorsi campati in aria. Vania, correggimi se sbaglio a tal riguardo»

La sacerdotessa del Dio delle Bestie Magiche era della razza dei mezz’uomini: arrivava a stento al bordo del tavolo quando era in piedi, cosa che non cambiava da seduta. Si alzò pertanto in piedi sul cuscino imbottito della sedia d’ebano; le vesti aderenti di colore verde erano decorate con immagini di molteplici animali in stile tribale, con una tonalità di verde più chiaro che si sposava perfettamente con i suoi corti capelli biondi. Alzò le braccia, e schiarendosi la gola professò: «Effettivamente non fa una piega. Per quanto non si vedono draghi che bruciano interi villaggi da secoli. Rimane il fatto che dovrete essere più convincenti. Nonostante le parole forti di Fion, mi trovo d’accordo con lui. Non c’è nulla di concreto!»

Gearard annuì e continuò:

«Avete saputo del risveglio dei morti a Feanord? Vi ricordate come è cominciata l’ultima volta? Uno dei miei è andato a indagare e ancora non è di ritorno. Spero di avere notizie da lui a breve»

Il nano che era alla destra di Vania scese dalla sedia facendo rumore con i suoi stivali ferrati ed evitando che la barba nera toccasse l’ardesia del tavolo si rivolse al sacerdote del Dio del Castigo e a Tristan:

«Per due non-morti! Lo sapete che a nord di Karak ‘N Kar c’è un necromante? Sarà stato lui! Ci manda continuamente i membri delle sue schifose fila al valico a settentrione. Facciamo le immonde creature a striscioline ogni dì. Dovrei pensare ad Ark ogni qual volta che un necromante si sveglia e desta i cadaveri dai propri sudari? Voi siete fuori di senno!»

Sir Gary, paladino del Dio del Fulmine, si alzò e sussurrò qualcosa nell’orecchio di Gearard, che scosse nettamente la testa in segno di diniego.

«Vi invito a parlare apertamente, oramai il discorso è iniziato e se avete altro di fondato e sensato da aggiungere condividetelo, oppure procediamo con i punti programmati del concilio» Tristan si era spazientito e non cercava neppure di nasconderlo.

Il sacerdote del Dio del Castigo fissò di nuovo il paladino alla sua sinistra. Attese qualche secondo e poi annunciò controvoglia:

«Crediamo di sapere dove è nascosta l’Anathorim»

Tutti i sacerdoti si sedettero e si guardarono tra loro esterrefatti, poi fissarono Tristan che era impietrito, mentre Fion rise sguaiatamente per qualche secondo fino a quando gli occhi azzurri dell’arcanista reale non lo gelarono. Poi, con lo stesso gelo, si rivolse ai tre rimasti in piedi: «Crediamo di sapere? Basta frasi ad effetto o tronche. È l’ultima possibilità che vi do per essere diretti e concisi. La pazienza del Re ha un limite e voi l’avete appena valicato»

Sir Gary mise una mano sul braccio sinistro del sacerdote umano, e rispose, il più garbatamente possibile:

«Siamo cauti e stringenti nei contenuti, perché tale informazione mette a repentaglio la reputazione di uno dei presenti. L’Anathorim ci risulta occultata nella zona di competenza di costui, in un posto che, scusate l’insolenza, fa intendere che tale persona ne sia al corrente»

I sacerdoti seduti si rialzarono di nuovo in piedi. Qualcuno aveva la bocca spalancata, altri si guardarono intorno con sguardi attoniti, mentre Tristan rimaneva seduto e richiamava all’ordine alzando il bastone in aria:

«Seduti tutti! Quanto asserite, Sir Gary, ha due grosse falle nel ragionamento. La prima è che, qualora ciò che asserite sia vero e qualcuno dei presenti abbia trasgredito al voto inviolabile, voi non avreste dovuto avvertirlo, avendo di fatto fornito una possibilità di fuga o di occultamento. La seconda parte incongruente della vostra tesi è che avvertendo tale delittuoso essere vi siete messi in pericolo di vita. Avendo fatto tali errori, voi dovreste essere etichettati come degli sciocchi, e come potremmo noi fidarci della parola di uno stolto?»

La sacerdotessa elfa riprese in fine la parola. Le sue iridi verdi incrociarono gli occhi di tutti i presenti nella grande sala dodecagonale, fino a posarsi sul mago reale:

«Abbiamo già dei nostri fidati adepti nella zona sospetta. Se a seguito di tale avviso l’Anathorim dovesse fuggire, potremmo trovarci nella favorevole posizione di sapere con certezza che quanto sospettiamo è assoluta verità. E se dovessimo morire, qualsiasi circostanza essa sia, allora sareste voi tutti a sapere che ciò che diciamo è assoluta verità»

Il sacerdote del Dio dei viaggi aprì bocca, mantenendo la stessa postura scomposta avuta per l’intero lasso di tempo passato a sonnecchiare nella sala, lasciando socchiuse le palpebre, e con la stessa voce di chi si fosse appena destato da un sonno profondo chiese innocentemente:

«Nel caso in cui invece non vi sia un traditore tra noi? Se tale “personalità” non fosse stata effettivamente al corrente dell’ubicazione dell’Anathorim?»

«Allora io, Sir Gary e padre Gearard chiederemmo venia allo sciocco per aver dubitato della sua buona fede e aver creduto nel suo intelletto» la risposta della sacerdotessa elfica arrivò puntuale mentre il paladino tuonò:

«Cominciamo a chiedere perdono adesso per esser costretti a infrangere il protocollo della riunione: dobbiamo abbandonarvi. Vista la piega degli eventi, piega che padre Gearard non voleva assolutamente, la nostra presenza ha esaurito la sua utilità. Ora andiamo a catturare l’Anathorim».

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...